900329 RAMO LEGALE 396 Circolare n. 139 AI DIRIGENTI CENTRALI E PERIFERICI e, per conoscenza AI CONSIGLIERI DI AMMINISTRAZIONE AI PRESIDENTI DEI COMITATI REGIONALI AI PRESIDENTI DEI COMITATI PROVINCIALI Informativa sull'orientamento della giurisprudenza circa le questioni piu' ricorrenti in materia di indennita' di malattia e di maternita'. RAMO LEGALE 396 Roma, 21 giugno 1982 Circolare n. 139 AI DIRIGENTI CENTRALI E PERIFERICI e, per conoscenza AI CONSIGLIERI DI AMMINISTRAZIONE AI PRESIDENTI DEI COMITATI REGIONALI AI PRESIDENTI DEI COMITATI PROVINCIALI OGGETTO: Informativa sull'orientamento della giurisprudenza circa le questioni piu' ricorrenti in materia di indennita' di malattia e di maternita'. In seguito all'entrata in vigore del D.L. 30 dicembre 1979, n. 663 (1) (convertito con modificazioni nella legge 29 febbraio 1980, n. 33), che ha trasferito all'INPS la competenza ad erogare le indennita' giornaliere di malattia e di maternita', sono state impartite a tutte le Sedi provinciali le prime istruzioni in materia con la circolare del 22 gennaio 1980, n. 614 EAD - n. 205 RCV - n. 134359 AGO/10 (2). Sono seguite circolari e messaggi vari, che si rende ora opportuno integrare con una diffusa informativa sulle questioni giuridiche piu' ricorrenti in materia e l'indicazione della piu' notevole giurisprudenza al riguardo (in questa sede ci si occupera' delle indennita' di malattia e di maternita' dovute ai soli lavoratori gia' assistiti dall'INAM). 0000000 PREMESSA GENERALE SULLE INDENNITA' DI MALATTIA E DI MATERNITA'. Lo scopo principale a cui tende l'assicurazione di malattia e di maternita' e' quello di apprestare all'assicurato infermo e alla lavoratrice gestante e puerpera - 1 - dei mezzi o servizi (prestazioni sanitarie) che consentano loro il piu' rapido e soddisfacente possibile ristabilimento delle condizioni fisiche e alla seconda anche il migliore possibile espletamento del parto. Ma tanto la malattia - ove, almeno, renda incapaci al lavoro - quanto la gravidanza e il puerperio sono eventi che provocano anche delle necessita' finanziarie, giacche' con l'allontanamento dal lavoro comportano anche il venir meno della retribuzione: donde, l'importanza delle prestazioni economiche, le quali, consistendo nell'erogazione di somme di denaro, sono destinate a sopperire, quanto meno per una parte, alla perdita del salario. Appare chiaro, quindi, che alle indennita' di malattia e di maternita' e' da attribuire natura giuridica di prestazione previdenziale compensativa della perdita del salario: ed e' appunto questa la tesi che ormai da tempo si e' affermata (3). Qualche autore, pero', esclude questa natura riparatrice o risarcitoria e preferisce parlare, invece, di natura alimentare (4). Come risultera' meglio dall'esame della disciplina positiva, la tesi che appare piu' corretta e' la prima (natura risarcitoria), anche se si puo' osservare che, in fondo, non c'e' contraddizione fra le due, giacche' la destinazione delle indennita' a fungere da surrogato del salario non toglie che la funzione ultima sia di fornire agli assistiti quel minimo di denaro che occorre per il soddisfacimento dei bisogni primari alimentari. INDENNITA' DI MALATTIA. 1. Fonti - Nell'iniziare la trattazione particolareggiata dell'indennita' di malattia, conviene dare anzitutto un quadro panoramico delle fonti normative che la disciplinano. Dato che il D.L. 30 dicembre 1979, n. 663 (convertito nella L. 29 febbraio 1980, n. 33), si e' limitato a trasferire all'INPS la competenza ad erogare le indennita' in questione e, salvo poche innovazioni espresse, ha lasciato ferma la disciplina preesistente, preannunciando una legge futura al riguardo (v. l'ultimo comma dell'art. 1), bisogna far capo tuttora alle fonti che disciplinavano l'indennita' di malattia erogata dall'INAM. La norma fondamentale e' l'art. 6 L. 11 gennaio 1943, n. 138, il quale al 1 comma si limita a - 2 - prevedere, fra le varie prestazioni a carico dell'Ente, "la concessione di una indennita' di malattia"; al 2 comma stabilisce che "l'indennita' non e' dovuta quando il trattamento economico di malattia e' corrisposto per legge o per contratto collettivo dal datore di lavoro o da altri enti in misura pari o superiore" a quella dell'indennita'. e che "le prestazioni corrisposte da terzi in misura inferiore .... saranno integrate dall'ente sino a concorrenza"; e al 4 comma stabilisce che alcune delle prestazioni precedentemente enumerate, fra cui appunto l'indennita' di malattia, "saranno concesse nei limiti, nella misura e secondo le modalita' che verranno determinate nazionalmente dalle associazioni sindacali a mezzo dei contratti collettivi o da deliberazione dei loro competenti organi, ovvero dal decreto di cui al secondo comma dell'art. 4" (cioe' da un decreto del Capo dello Stato promosso dal Ministro del Lavoro, d'intesa con quello delle Finanze). L'art. 6 L. n. 138 del 1943, come appare evidente, enuncia un principio generale e poi opera, per la sua attuazione, un rinvio formale ad altre fonti (c. d. norma "in bianco"). Non essendo mai intervenuto sul previsto decreto del Capo dello Stato, una rilevanza particolare assume il rinvio ai contratti collettivi nazionali di lavoro. Al riguardo, e' da avvertire che, non essendo stato ancora attuato il sistema delle rappresentanze unitarie previsto dall'art. 39 Cost. e non avendo, percio', i nuovi contratti collettivi efficacia vincolante nei riguardi dei non iscritti alle associazioni sindacali, il rinvio dell'art. cit. e' da intendere operante nei riguardi dei contratti collettivi dell'epoca corporativa, sopravvissuti alla scomparsa dell'ordinamento sindacale pubblicistico per l'ultrattivita' stabilita dall'art. 43 D. Lgs. Lgt. 23 novembre 1944, n. 369 (5). Altra avvertenza notevole: fra tali contratti una rilevanza particolare assume quello del 3 gennaio 1939, che, pur dettando testualmente la disciplina del trattamento mutualistico di malattia dei soli operai del settore dell'industria, e' ormai estensibile a tutte le categorie di lavoratori, giacche', essendo la disciplina di tale settore la piu' minuziosa ed esauriente, ad essa invia, esplicitamente o no, la normativa riguardante gli altri settori (6). L'ambito di operativita', nella nostra materia, dei contratti collettivi di lavoro tende, pero', a ridursi per l'intervento del legislatore, che va estendendo la diciplina legislativa diretta. Cosi', sono intervenuti, nel settore dell'industria, il D. Lgs. Lgt. 19 aprile 1946, n. 213, e - 3 - leggi varie in materia di integrazione salariale (L. 8 agosto 1972, n. 464; L. 20 maggio 1975, n. 164, ed altre); nel settore dell'agricoltura, il D. Lgs. Lgt. 9 aprile 1946, n. 212, e la L. 8 agosto 1972, n. 457; nel settore del commercio, credito, assicurazione e servizi tributari appaltati, il D.L.C.P.S. 31 ottobre 1947, n. 1304; infine, vanno richiamati i recenti provvedimenti legislativi in materia di riforma sanitaria (L. 23 dicembre 1978, n. 833; D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, convertito con modificazioni nella L. 29 febbraio 1980, n. 33, e il cui art. 2, nella parte concernente la certificazione di malattia, e' stato modificato dall'art. 5 L. 23 aprile 1981, n. 155; D.L. 30 aprile 1981, n. 168, convertito con modificazioni nella L. 27 giugno 1981, n. 331). 2. Aventi diritto - Passando a trattare degli aventi diritto all'indennita' di malattia, e' da fare, anzitutto, un'avvertenza che, pur potendo sembrare ovvia, non e' pero' inopportuna: cioe' che, trattandosi di un succedaneo del salario, non vi hanno diritto i pensionati (che durante l'infermita' continuano a percepire la pensione), ne' i familiari a carico di lavoratori o pensionati (che, anche se non affetti da malattia, non sono percettori di salario), ne' quegli impiegati che sono retribuiti in misura fissa mensile anche in caso di assenza per malattia (come gli impiegati dell'industria; invece, l'indennita' spetta agli impiegati del commercio), ne' i ministri di culto, per i quali non si puo' parlare di rapporto di lavoro subordinato, con la percezione di una regolare retribuzione. Tra gli agricoli non hanno diritto all'indennita' di malattia i coloni che non siano piccoli coloni e i mezzadri, i quali sono titolari di un rapporto di lavoro di tipo associativo; inoltre, non vi hanno diritto i lavoratori dei settori del credito, assicurazione e servizi tributari appaltati; quelli del settore del commercio con qualifica di impiegati dipendenti da proprietari di stabili, piazzisti, viaggiatori e portieri; i pescatori della piccola pesca; i lavoratori addetti ai servizi domestici familiari e gli apprendisti di qualsiasi settore. Salve queste eccezioni, si puo' dire, in generale, che hanno diritto all'indennita' di malattia i lavoratori dipendenti da datori di lavoro privati con qualifica di operai o anche di impiegati, se pero', in quest'ultimo caso, non maturano il diritto allo stipendio per le giornate di assenza dal lavoro a causa di malattia. - 4 - L'art. 4 L. 11 gennaio 1943, n. 138, testualmente prevede l'iscrizione all'INAM (con diritto, quindi, anche all'indennita' di malattia) non gia' per tutti i lavoratori dipendenti da privati, ma solo per quelli rappresentati dalle associazioni sindacali aderenti alle Confederazioni dei lavoratori dell'industria, agricoltura, commercio, credito e assicurazione, e per quelli rappresentati dalla Confederazione dei professionsiti e degli artisti. Dapprima la Cassazione si era limitata a stabilire che l'estensione della tutela assicurativa dell'INAM ad altre categorie di lavoratori richiede uno specifico intervento del legislatore (7); sennonche', con ordinanza del 29 aprile 1976 ha ritenuto che, stante la sua portata limitativa, l'art. 4 cit. potrebbe essere in contrasto con gli artt. 3, 1 comma, e 38, 2 comma, Cost., ed ha sollevato questione di costituzionalita' (8). Analoga questione e' stata sollevata dal Pretore di Genova per quanto riguarda i dipendenti dei sindacati, i quali, ai sensi dell'art. 4 L. n. 138 del 1943, sarebbero esclusi dall'assicurazione obbligatoria contro le malattie (9). Le questioni sollevate, benche' nel frattempo sia intevenuta la riforma sanitaria, erano sempre rilevanti, anche per i rapporti pregressi. La Corte Costituzionale ha emesso nei confronti di entrambe una sentenza di accoglimento (10): con la conseguenza che il diritto all'assistenza di malattia e di maternita' - senza eccezione, ovviamente, per le prestazioni economiche - va riconosciuto a tutti i lavoratori dipendenti da privati. 3. Insorgenza del diritto - Il diritto all'indennita' di malattia puo' essere inteso in due sensi diversi: in quello di posizione soggettiva attiva che consente al lavoratore di pretendere l'indennita' per le malattie che eventualmente lo colpiscano in futuro, e nel senso di possibilita' di pretendere l'erogazione in concreto della prestazione per una malattia che effettivamente lo ha colpito. Inteso il diritto nel primo senso, la sua insorgenza si verifica, in genere, per il solo fatto della instaurazione di un rapporto di lavoro assoggettabile ad assicurazione obbligatoria contro le malattia, senza bisogno che il datore di lavoro provveda effettivamente alle formalita' necessarie per l'assicurazione e che decorra un periodo minimo di assicurazione o di contribuzione. E' il cosiddetto principio dell'automatismo, consacrato nell'ultimo comma dell'art. 11 L. 11 gennaio 1943, n. 138. Va ravvisata un'eccezione per i - 5 - lavoratori del settore agricolo, per i quali, in considerazione dell'instabilita' e discontinuita' dei rapporti di lavoro, che vengono instaurati generalmente con un molteplicita' di datori di lavoro, il legislatore ha previsto la formazione di appositi elenchi nominativi, nei quali i lavoratori sono inseriti, dopo un periodo minimo di attivita' lavorativa, in seguito ad un procedimento amministrativo piu' o meno complesso (v. R.D. 24 settembre 1940, n. 1949); ed ha collegato l'insorgenza del diritto ad assistenza di malattia all'avvenuta iscrizione in tali elenchi o all'avvenuto rilascio in via di urgenza, da parte del Servizio per i Contributi Agricoli Unificati (S.C.A.U.), di un certificato provvisorio comprovante il possesso dei requisiti per l'iscrizione (D. Lgs. Lgt. 9 aprile 1946, n. 212, art. 4) (11). La Corte Costituzionale, chiamata a stablire se sia conforme alla Costituzione questa disciplina legislativa che esclude per i lavoratori agricoli l'automatismo previsto per quelli di altri settori, si e' pronunciata nel senso che non vi sarebbe disparita' di trattamento fra gli uni e gli altri, valendo anche per gli agricoli il principio dell'automatismo delle prestazioni: anche per questi il diritto all'assistenza sorgerebbe dalla sola situazione di prestatori di lavoro subordinato; di particolare vi sarebbe unicamente che gli elenchi nominativi assolverebbero una specifica funzione probatoria (12). Sull'esattezza di questo ragionamento vi sarebbe da discutere; comunque, quel che importa e' che la decisione sia stata nel senso della conformita' della disciplina legislativa in esame ai principi della Costituzione (13). Per quanto riguarda la decorrenza, ai fini del diritto all'assistenza di malattia, dell'iscrizione negli elenchi, alla questione sono state date in giurisprudenza varie soluzioni: secondo una, il diritto decorre dalla dta di pubblicazione dell'elenco nel quale il singolo lavoratore e' iscritto (14); secondo un'altra, per l'acquisizione del diritto e' anche necessaria la definitivita' dell'iscrizione nell'elenco, nel senso che sia gia' decorso, dalla pubblicazione, il termine previsto per ricorrere contro le sue risultanze o che, ove un ricorso venga proposto, esso sia stato deciso con provvedimento irrevocabile (15); ma la soluzione che sembra essersi ormai affermata e' quella adottata dalla Cassazione con una sentenza emessa gia' da oltre un decennio, la quale fa decorrere il diritto all'assistenza dalla data iniziale del periodo a cui si - 6 - riferisce l'elenco di iscrizione (16). Ovviamente, resta fermo che, nel caso del lavoratore che si faccia rilasciare il certificato di urgenza, la decorrenza del diritto coincide con la data del rilascio (17). Quanto all'insorgenza del diritto del lavoratore all'erogazione in concreto dell'indennita' per una malattia che effettivamente lo ha colpito, e' sostenibile che la titolarita' del rapporto di lavoro sia condizione necessaria ma non sufficiente, nel senso che occorra anche l'effettiva prestazione, sia pure per un tempo minimo, di attivita' lavorativa retribuita. Infatti, l'ultimo comma dell'art. 11 L. 11 gennaio 1943, n. 138, nello stabilire il diritto del lavoratore all'assistenza anche se, al verificarsi della malattia, il datore di lavoro non abbia ottemperato all'obbligo di fornire all'Istituto le notizie necessarie per l'iscrizione dei propri dipendenti e per l'accertamento dei contributi o non sia in regola con il versamento dei contributi maturati, presuppone che un qualche obbligo contributivo sia gia' sorto a carico del datore di lavoro, il che e' impossibile senza un previo svolgimento di attivita' lavorativa. Come poi vedremo fra poco, il diritto all'assistenza e' conservato eccezionalmente al lavoratore che, alla data di lavoro da non oltre un certo periodo massimo di tempo: ma questa e' un'eccezione la quale presuppone la regola nel senso della spettanza della prestazione in favore dei soli assicurati che vengano colpiti da malattia mentre si trovano in costanza di attivita' lavorativa retribuita. S'intende che queste considerazioni non riguardano i lavoratori agricoli, per i quali il diritto alla prestazione sussiste anche in caso di malattia insorta immediatamente dopo l'inizio del periodo di validita' dell'elenco nel quale sono iscritti, a prescindere dall'effettivo svolgimento di attivita' lavorativa: tanto piu' che per almeno 51 giornate un'attivita' lavorativa e' stata svolta per poter conseguire l'iscrizione. 4. Condizioni soggettive per l'acquisto del diritto: certificazione della malattia. - Il lavoratore ammalatosi, per poter acquisire il diritto all'indennita', deve informare l'Istituto dell'insorgenza della malattia. Benche' ci sia molta confusione circa la natura di questo "dovere", che solitamente viene qualificato come "obbligo", non ci dovrebbe - 7 - essere dubbio che esso consiste propriamente in un "onere", trattando di adempimento che il lavoratore non e' tenuto a curare comunque, ma deve curare se vuol conseguire un risultato a lui favorevole: la corresponsione dell'indennita' di malattia. La L. 11 gennaio 1943, n. 138, non prevede questo adempimento, ma l'esistenza dell'onere a carico del lavoratore si e' sempre data per pacifica in base alle norme del codice civile in materia di contratto di assicurazione. E cio', in quanto, per il rinvio operato dall'art. 1886, si rende applicabile alle assicurazioni sociali in genere, e a quella di malattia in particolare, l'art. 1913 che impone all'assicurato di "dare avviso del sinistro all'assicuratore ...entro tre giorni da quello in cui il sinistro si e' verificato....". Come bene ha osservato la Cassazione, la "ratio" di questo onere, che anche'essa pero' denomina obbligo, "risiede nella esigenza che l'assicuratore sia posto in grado di accertare tempestivamente la causa del sinistro e l'entita' del danno prima che possano disperdersi eventuali prove od indizi decisivi o, comunque, utili" (18): il che implica la facolta' dell'assicuratore di svolgere gli opportuni accertamenti sull'esistenza delle condizioni da cui risulti il suo obbligo di corrispondere l'indennita' assicurativa. In sede di attuazione della cosiddetta "piccola riforma", il Consiglio di Amministrazione dell'INAM trasfuse il principio circa l'onere di denuncia dell'infermita' negli artt. 6 e 7 del "Regolamento delle prestazioni economiche", stabilendo: che il medico di fiducia del lavoratore doveva documentare l'insorgenza e la cessazione della malattia, rispettivamente, con il certificato di inizio, valevole per la prognosi in esso indicata, e con quello di guarigione; che l'eventuale mancata guarigione entro il periodo prognosticato, doveva risultare da certificati di continuazione della malttia (art. 6); che tutti questi certificati dovevano essere trasmessi all'INAM dallo stesso medico curante nel termine di tre giorni, decorrenti, per il certificato di inizio, dalla data della prima visita e, per gli altri, dalla data di scadenza del certificato precedente (art. 7). Avendo questa normativa complicato i rapporti tra l'INAM e i medici liberi professionisti con esso convenzionati, in sede di trattative con la classe sanitaria per il rinnovo della convenzione, con una deliberazione consiliare del 23 giugno 1966, furono introdotte delle innovazioni, stabilendosi che il medico si doveva limitare a redigere i certificati ed a consegnarli al - 8 - lavoratore, mentre doveva essere quest'ultimo a curarne la trasmissione all'Istituto. Per quanto riguarda le conseguenze dell'inosservanza dell'onere di denuncia da parte dell'assicurato, l'art. 1915 cod. civ. stabilisce che "l'assicurato che dolosamente non adempie l'obbligo dell'avviso ....perde il diritto all'indennita'. Se l'assicurato omette colposamente di adempiere tale obbligo l'assicuratore ha diritto di ridurre l'indennita' in ragione del pregiudizio sofferto". Sulla scorta di queste disposizioni, all'art. 7, 3 comma, "Reg. prestaz. econ.", si stabili' che l'inosservanza dei termini per l'inoltro dei certificati medici, se attribuibile all'assicurato, comportava la perdita dell'indennita' economica per il periodo di mancata o ritardata certificazione: e cio', con riferimento sia al termine per l'inoltro del certificato d'inizio della malattia, sia a quelli per l'inoltro dei certificati di continuazione e di guarigione. Con deliberazione adottata il 12 novembre 1971 dal Consiglio di amministrazione dell'INAM, essendo sorti dei dubbi sulla legittimita' del 3 comma dell'art. 7 nella sua formulazione originaria, se ne volle circoscrivere la portata, limitandosi l'esclusione del diritto all'indennita' ai soli casi di omesso inoltro in termini del certificato di inizio della malattia. Piu' o meno bene si ando' avanti cosi' fino al 13 giugno 1980, quando la Corte di Cassazione, a sezioni unite, emise ben quattordici sentenze in cui stabili' che, in via di principio, l'INAM non potesse rifiutare l'erogazione dell'indennita' neanche in caso di mancato inoltro, da parte del lavoratore, del certificato di inizio della malattia. Conseguentemente, l'Istituto venne nella determinazione di non rifiutare piu' al lavoratore l'indennita' giornaliera neanche in caso di omessa o ritardata denuncia di insorgenza dell'infermita', sempreche' dalla documentazione in possesso dell'istituto, da ulteriori accertamenti che esso potesse svolgere oppure da prove fornite dall'interessato, risultasse la dimostrazione dell'esistenza dell'infermita' invalidante. Nel frattempo e' intervenuto in materia il legislatore, ma il problema e' ancora ben lungi dall'aver trovato una soddisfacente soluzione. Precisamente, e' avvenuto quanto segue. - 9 - Con D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, si stabili' all'art. 2: che il medico curante doveva redigere e rimettere in duplice esemplare "alla struttura indicata dalla regione il certificato di diagnosi, prognosi e di eventuale continuazione della malattia", e cotemporaneamente doveva rilasciare "al lavoratore un attestato, da consegnarsi entro tre giorni dal rilascio al datore di lavoro, comprovante l'inzio e la durata della malattia che comporti la temporanea inidoneita' al lavoro"; che il datore di lavoro doveva "tenere a disposizione e produrre all'Istituto nazionale della previdenza sociale, a richiesta, gli attestati in suo possesso" e "comunicare i necessari dati salariali entro il termine di quindici giorni, nella ipotesi di pagamento diretto da parte dell'Istituto medesimo"; infine, che la struttura indicata al primo comma doveva "trasmettere all'Istituto nazionale della previdenza sociale, entro quindici giorni, copia della certificazione ivi prevista con le eventuali osservazioni" e poteva "disporre controlli sullo stato di infermita' del lavoratore". In sede di conversione, con l'art. 1 L. 29 febbraio 1980, n. 33, si sostitui' l'art. 2 del D.L., stabilendosi: che il medico curante doveva redigere in duplice copia e consegnare "al lavoratore il certificato di diagnosi e l'attestazione sull'inizio e la durata presunta della malttia"; che il lavoratore era "tenuto, entro due giorni dal relativo rilascio, a recapitare o a trasmettere, a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, il certificato ...al datore di lavoro" e "la attestazione ....all'Istituto nazionale della previdenza sociale o alla struttura pubblica indicata dallo stesso Istituto, d'intesa con la regione"; che "le eventuali visite di controllo sullo stato diinfermita' del lavoratore, ai sensi dell'art. 5 della legge 20 maggio 1970, n. 300, o su richiesta dell'Istituto nazionale della previdenza sociale o della struttura sanitaria pubblica da esso indicata", dovevano essere eseguite "dai medici dei servizi sanitari indicati dalle regioni"; che il datore di lavoro doveva "tenere a disposizione e produrre, a richiesta, all'Istituto nazionale della previdenza sociale i certificati in suo possesso"; e che, nei casi di pagamento diretto dell'indennita' da parte dell'Istituto, i certificati dovevano essere inviati al medesimo, a cura del datore di lavoro, entro tre giorni dal relativo ricevimento, unitamente ai dati salariali necessari per il pagamento". quindi, mentre per il testo originario del D.L. il certificato di malattia (indicante la diagnosi) doveva essere inviato alla struttura sanitaria e il semplice - 10 - attestato (privo di diagnosi) al datore di lavoro, per il testo risultante dalla legge di conversione destinatario del certificato era il datore di lavoro, mentre l'attestato doveva essere trasmesso all'INPS o alla struttura sanitaria da esso indicata. L'Istituto, che, nell'impartire le prime istruzioni attuative degli artt. 74 e 76 L. 23 dicembre 1978, n. 833, si era attenuto al testo originario dell'art. 2 D.L. n. 663/1979 (19), con un'interpretazione logica penso' di poter continuare a indicare come destinatari del certificato e dell'attestato, rispettivmaente, l'ente previdenziale e il datore di lavoro (20). Ne sono derivate alcune vertenze giudiziarie promosse contro l'INPS dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio da alcune aziende, le quali hanno anche chiesto sospendersi l'esecuzione dei provvedimenti impugnati. Il Tribunale adito ha accolto le richieste di sospensione con ordinanze (21) confermate dal Consiglio di Stato in rigetto delle impugnazioni proposte dall'INPS (22). L'Istituto, pertanto, con messaggio n. 0175 trasmesso il 31 ottobre 1981 con il terminale elettronico, ha impartito istruzioni per l'immediata osservanza del testo letterale dell'art. 2 D.L. n. 663/1979, come convertito nella legge n. 33/1980 (23). Pochi mesi dopo, il problema e' stato risolto con un ulteriore intervento legislativo: l'art. 15 L. 23 aprile 1981, n. 155, ha modificato l'art. 2 D.L. cit., con effetto dal 15 marzo 1980 (data di entrata in vigore della L. n. 33/1980), in senso conforme alla tesi sostenuta dall'INPS: destinatari, quindi, del certificato o dell'attestato, rispettivamente, l'INPS, o la struttura pubblica indicata dall'Istituto medesimo d'intesa con la Regione, e il datore di lavoro; conseguentemente, l'art. 15 L. n. 155 ha introdotto degli adattamenti nell'ultimo comma dell'art. 2 D.L. n. 663, nel senso che il datore di lavoro deve tenere a disposizione dell'INPS; e produrgli a richiesta, "la documentazione" in suo possesso (non piu' "i certificati"); e, nei casi di pagamento diretto dell'indennita' da parte dell'istituto, gli deve inviare, entro tre giorni dal ricevimento dell'attestazione di malattia, i soli dati salariali. Da questa inversione dei destinatari del certificato e dell'attestazione di malattia rispetto alla previsione della norma precedentemente in vigore, e' derivata la....reviviscenza delle istruzioni impartite dall'INPS con circolare n. 625 EAD - n. 134362 AGO/84 del 22 aprile 1980 (24). - 11 - Per completare l'esposizione delle vicende legislative in materia, occorre richiamare l'art. 8 bis D.L. 30 aprile 1981, n. 168 - introdotto dall'art. 1 della legge di conversione 27 giugno 1981, n. 331 -, il quale prevede che l'INPS e le Unita' Sanitarie Locali disciplinino lo svolgimento dei "controlli sullo stato di salute dei soggetti aventi titolo alle prestazioni economiche di malattia e di maternita' attraverso convenzioni da stipulare ... sulla base di appositi schemi-tipo elaborati d'intesa tra l'INPS e le regioni ed approvati con decreto del Ministro della sanita'". In sintesi, la situazione normativa attuale e' questa: il medico curante redige in duplice copia il certificato di malattia (con la diagnosi) e l'attestazione (senza diagnosi) e rilascia il tutto al lavoratore (D.L. n. 663/1979, art. 2, 1 comma, quale risulta dall'art. 1 della legge di conversione n. 33/1980); il lavoratore, entro due giorni dal rilascio, invia il certificato all'INPS, o alla struttura sanitaria pubblica da esso indicata d'intesa con la Regione, e l'attestazione al datore di lavoro (D.L. n. 663/1979, art. 2, 2 comma, come sostituito dall'art. 15, 1 comma, L. n. 155/1981); il datore di lavoro tiene a disposizione dell'INPS la documentazione in suo possesso, che a richiesta gli produce, e, nei casi in cui le indennita' debbono essere corrisposte direttamente dall'Istituto, gli trasmette, entro tre giorni dal ricevimento dell'attestazione, i dati salariali necessari per il conteggio (D.L. n. 663/1979, art. 2, 4 comma, come sostituito dall'art. 15, 2 comma, L. n. 155/1981); sullo stato di salute del lavoratore possono essere eseguite visite di controllo con i medici dei servizi sanitari indicati dalle Regioni (D.L. n. 663/1979, art. 2, 3 comma, risultante dall'art. 1 della legge di convesione n. 33/1980); la disciplina dello svolgimento di questi controlli sara' oggetto di convenzioni tra l'INPS e le Unita' Sanitarie Locali, da stipularsi sulla scorta di appositi schemi-tipo predisposti d'intesa tra l'Istituto e le Regioni e approvati con decreto del Ministro della sanita' (D.L. n. 168/1981, art. 8 - bis, introdotto dall'art. 1 della legge di conversione n.331/1981). Scendiamo, ora, ad un'esposizione particolareggiata delle vicende che si sono verificate in giurisprudenza in ordine alla questione dell'onere, a carico del lavoratore, di documentare la malattia e delle conseguenze della sua inosservanza. E va detto subito che si e' avuta una vasta gamma di soluzioni comprese fra due estremi: quello di - 12 - stabilire che il diritto all'indennita' e' condizionato dal tempestivo inoltro, da parte del lavoratore, non soltanto dal certificato dal cetificato di inizio della malattia, ma anche di quelli di continuazione e di guarigione, secondo le disposizioni contenute nel "Regolamento delle prestazioni economiche" (25), e l'altro estremo di ritenere che il diritto sia svincolato da qualsiasi adempimento di denuncia della malattia, essendo sufficiente farlo valere prima che maturi la prescrizione estintiva (26). Esclusa subito l'attendibilita' sia del primo indirizzo, che attribuisce al "Regolamento delle prestazioni economiche" un'efficacia eccessiva rispetto a quella compatibile con i vigenti principi sulla gerarchia delle fonti (27), sia dell'ultimo, che appare "ictu oculi" del tutto arbitrario, e' il caso di rivolgere l'attenzione agli indirizzi intermedi. Alcune sentenze si sono limitate a occuparsi della legittimita' delle norme che prevedono la perdita del diritto all'indennita' in caso di omesso o ritardo invio, da parte del lavoratore, dei certificati di continuazione della malattia e di quello di guarigione; e hanno stbailito che esse sono legittime, perche' il "Reg. prestaz. econ. " e' un atto interno dell'INAM privo di efficacia normativa (28). Le sentenze che si sono occupate "ex professo" delle conseguenze dell'omissione o del ritardo nell'invio del certificato di insorgenza della malattia, si possono ripartire in due gruppi: uno e' costituito da quelle secondo cui l'indennita' non e' dovuta al lavoratore, essendo ravvisabile "in re ipsa" un pregiudizio per l'assicuratore, che si identifica con l'impossibilita', conseguente all'inadempimento del lavoratore, di svolgere con tempestivita' gli opportuni accertamenti (29); nell'altro gruppo rientrano le sentenze secondo le quali non si puo' ritenere "sic et simpliciter" legittimo il rifiuto dell'indennita', giacche', ai sensi dell'art. 1915 cod. civ. (la sola norma che trova applicazione), l'assicuratore puo' rifiutare l'indennita' solo se dimostri che l'inadempimento dell'assicurato e' stato doloso; altrimenti, si deve presumere essersi trattato di inadempimento colposo e l'assicuratore puo' solo ridurre l'indennita' in ragione del pregiudizio che dimostri essergliene derivato: pregiudizio il quale non si puo' identificare con l'impossibilita' di svolgere tempestivi accertamenti, ma deve essere di natura economica (30). Dopo ben quattordici sentenze della Corte Suprema a sezioni unite e cinque a sezione singola (Lavoro), e' chiaro - 13 - che quest'ultimo indirizzo va ormai considerato come definitivo (fino a un'eventuale modifica del diritto positivo siano state spalancate le porte a qualsiasi abuso e a qualsivoglia simulazione da parte del lavoratore, al quale si debba sempre corrispondere l'indennita' senza poter mai opporre alcuna eccezione in ordine alla certificazione della malattia. Le sezioni unite, al riguardo, hanno precisato che l'esistenza della malattia e il carattere invalidante della medesima debbono essere dimostrati dal lavoratore; e "il giudice dovra' attentamente valutare se l'attore assolva in modo adeguato e sufficiente l'onere probatorio ...., insieme considerando la maggior difficolta' di prova contraria incontrata, per il tempo trascorso, dall'istituto assicuratore, in precedenza impedito, dall'omissione dell'assicurato, a compiere i tempestivi accertamenti..." (31). Quindi il lavoratore, sia pure fuori termine, deve adempiere congruamente l'onere della prova; e l'Istituto dovra' corrispondergli l'indennita' solo se, in base alla documentazione di cui sia o possa venire in possesso o agli eventuali accertamenti che possa ulteriormente svolgere, non sia in grado di confutare l'esistenza della malattia invalidante allegata. E se tali accertamenti comportino delle spese particolari in dipendenza dell'omissione dell'assicurato, l'indennita' di malattia potra' essere decurtata del "tantumdem", ricorrendo quel pregiudizio economico a cui si riferisce l'art. 1915 cod. civ. (32). Le necessita' di una cernita appare tanto piu' chiara, quando si tengano presenti gli spaventosi abusi verificatisi in questo periodo di transizione, in cui l'INPS non e' ancora riuscito ad organizzare un efficace servizio di controlli non soltanto sulla persona dei lavoratori ammalati o sedicenti tali, ma neanche sui certificati (33), e si badi che qualsiasi servizio di controlli sarebbe in gran parte vanificato da una interpretazione strettamente letterale di principio secondo cui il diritto all'indennita' non e' condizionato dal tempestivo inoltro del certificato di insorgenza della malattia (leggere il certificato a cose fatte non sempre puo' equivalere ad eseguire l'accertamento sulla persona del lavoratore, mentre si dichiara incapace al lavoro per malattia). - 14 - 5. Condizioni soggettive: segue. Malattie che dipendono da comportamento colpevole del lavoratore. - Esistono norme specifiche escludenti il sorgere del diritto all'indennita' economica di alcune fattispecie di malattie che dipendono da comportamento colpevole del lavoratore: precisamente, in forza di alcune disposizioni contenute negli artt. 19 e 32 c.c. naz. 3 gennaio 1939, poi trasfuse dall'INAM, in sede di "piccola riforma", nel cpv. dell'art. 3 "Reg. prestaz. econ.", l'indennita' non e' dovuta se il lavoratore "si sia dolosamente procurata la malattia" (art. 32 cit., 1 comma), "abbia contratto la malattia per propria colpa" (art. 19 cit., 1 comma, lett. a) (34) o "sia colpito da malattie provocate da ubriachezza o da abuso di alcoolici" (art. 19, 1 comma, lett. b) o, trattandosi di lavoratrice gestante, la malattia sia connessa con un "procurato aborto, ove sussistano gli estremi del reato" (art. 32, 1 comma). Del resto, ancorche' non esistessero o non fossero applicabili queste norme, varrebbero pur sempre i principi del codice civile, applicabili in materia per il rinvio operato dall'art. 1886, secondo i quali "l'assicuratore non e' obbligato per i sinistri cagionati da dolo o da colpa grave .....dell'assicurato...., salvo patto contrario per i casi di colpa grave" (art. 1900). E' bene esaminare distintamente le fattispecie sopra enumerate. Il caso della malattia che il lavoratore si sia procurata dolosamente da se' stesso, non si presenta quasi mai, anche perche' in alcune delle rarissime volte in cui ricorre non ci vuol molto a sostenere che non si sia trattato di dolo ma di colpa. Comunque, se il dolo viene dimostrato, non ci dovrebbe essere dubbio che va negata al lavoratore l'indennita' economica, anche perche' la verificazione della malattia per un comportamento doloso dello stesso lavoratore sfugge al concetto di rischio, che, per il combinato disposto degli artt. 1886 e 1895 cod. civ., e' indispensabile anche nelle assicurazioni sociali (35). La giurisprudenza si occupo' anni fa di un tentativo di suicidio da cui, anziche' la morte, derviarono all'assicurato gravi lesioni; e si controverteva unicamente se gli spettassero le prestazioni di carattere sanitario, trattandosi di un impiegato dell'industria non avente diritto, per la sua appartenenza a questa categoria, all'indennita' economica. Ma e' ugualmente utile richiamare i principi enunciati in quell'occasione: precisamente, i giudici - 15 - di merito stabilirono il diritto del lavoratore all'assistenza osservando, fra l'altro, che chi pone in atto un comportamento suicida e' affetto da un perturbamento psichico per cui vuole soltanto sopprimersi e non anche cagionarsi delle semplici lesioni, in ordine alle quali non ricorre ne' dolo ne' colpa da parte sua; ma, sia pure "ad abundantiam", precisarono in via incidentale che la tesi negativa dell'INAM, se mai, sarebbe stata sostenibile ove il lavoratore avesse domandato l'indennita' economica (36). La Corte di Cassazione, in seguito a ricorso dell'INAM, confermo' la sentenza di appello, ribadendo l'esclusione del dolo per le lesioni cagionate a se' stesso da chi ha tentato invano il suicidio (37). Il ragionamento sarebbe persuasivo, solo se fosse dimostrabile che le norme in esame si riferiscano a un dolo specifico, cioe' al comportamento posto in essere dall'assicurato allo scopo ben reciso di poter godere delle prestazioni assicurative; ma e' da ritenere che basti il dolo generico, cioe' la semplice volontarieta' delle lesioni. E non sembra ragionevole ammettere che chi deliberatamente si e' leso per darsi la morte, non si e' ....voluto ledere!. La fattispecie delle lesioni dovute a colpa dello stesso lavoratore fu quella che provoco' all'INAM il piu' gran numero, in assoluto, di vertenze legali in materia di indennita' di malattia, controvertendosi se le norme di esclusione del diritto, formulate con estrema chiarezza, siano ancora attuali e, in caso affermativo, se siano conciliabili con i principi della Costituzione (art. 38, 2 comma). Non mancarono sentenze di merito che decisero in senso favorevole all'Istituto (38); ma la parte di gran lunga prevalente della giurisprudenza di merito giunse, con diverse motivazioni, al risultato favorevole ai lavoratori (39). Alcuni giudici, ritenuta la vigenza dell'art. 19, lett. a), c.c. naz. 3 gennaio 1939 e, in via subordinata, l'applicabilita' dell'art. 1900 cod. civ., ebbero dei dubbi sulla conciliabilita' di questa normativa con i principi della Costituzione e rimisero gli atti alla Corte Costituzionale (40), che, pero', dichiaro' inammissibile dinanzi a se' la questione relativamente alla norma corporativa, rilevando che il suo sindacato e' previsto solo per le norme legislative o aventi forza di legge, mentre i contratti collettivi di lavoro dell'epoca corporativa sono stati mantenuti in vigore con la loro efficacia originaria, senza essere ne' trasformati in norme legislative, ne' recepiti dall'art. 6 L. 11 gennaio 1943, n. 138; e stabili' l'infondatezza della questione di costituzionalita' - 16 - relativamente all'art. 1900 cod. civ., perche' non c'entrerebbe con l'assicurazione di malattia gestita dall'INAM, che sarebbe disciplinata ...compiutamente dalla L. 11 gennaio 1943, n. 138 (41). Alla situazione di incertezza venne posto fine quando anche la Cassazione stabilita' che l'art. 38, 2 comma, Cost. assicura il diritto all'assistenza, anche economica, senza escludere l'iptoesi della malttia dovuta a colpa del lavoratore, lieve o grave che sia (42), e il Consiglio di amministrazione dell'INAM, con deliberazione aodttata il 31 luglio 1974, stabili' che l'Istituto vi si adeguasse. La questione circa la legittimita' delle norme che escludono il diritto all'indennita' giornaliera in caso di malattia provocata da ubriachezza o da abuso di alcoolici, non dovrebbe essere confusa con quella sul comportamento colposo del lavoratore: chi rimane ferito magari per un'estrema imprudenza nella guida di un veicolo a motore, non si puo' dire che voleva riportare le lesioni; ma nel caso di chi, per aver abusato di sostanze alcooliche, ha compromesso la sua salute e, noncurante di qualsiasi consiglio o prescrizione medica, continua a bere tranquillamente, perche' si dovrebbe escludere il dolo?. Si tenga presente che, sulla questione specifica, la giurisprudenza si era orientata in senso piu' favorevole all'INAM che non sulla questione della malattia dovuta a comportamento colposo; e aveva deciso in senso favorevole all'Istituto anche la Corte di Appello di Bologna, che era orientata in senso opposto sull'altra questione (43). Ma il Consiglio di amministrazione dell'INAM, nel deliberare il 31 luglio 1974 di adeguarsi all'orientamento sfavorevole della Cassazione sulla questione della colpa, stabili' contemporaneamente di cedere anche in tema di ubriachezza o abuso di alcoolici, senza che al riguardo la Cassazione fosse stata mai sentita. Ove risulti incontestabile la dipendenza della malattia da abuso di alcoolici (o di sostanze stupefacenti), si rifiutera' al lavoratore l'indennita' e, qualora egli adisca le vie legali, si coltivera' il giudizio. La fattispecie della malattia della lavoratrice connessa con un procurato aborto va ormai notevolmente ridimensionata per effetto dell'entrata in vigore della L. 22 maggio 1978, n. - 17 - 194, che consente l'interruzione volontaria della gravidanza. Comunque, nei casi in cui l'interruzione venga compiuta al di fuori dei limiti previsti dalla legge e, quindi, ai sensi dell'art. 19. costituisca tuttora reato, non va corrisposta l'indennita' di malattia. 6. Condizioni oggettive per l'acquisto del diritto: malattia invalidante. Per aver diritto all'indennita', occorre che il lavoratore sia non soltanto ammalato, ma anche incapace al lavoro a causa della malattia da cui e' affetto. L'esigenza di questa condizione dovrebbe essere del tutto ovvia; ma si vede che non sono mancati dei dubbi al riguardo, dal momento che piu' volte si e' posto in giurisprudenza il problema di stabilire se l'indennita' di malattia debba essere corrisposta o non durante le giornate in cui il lavoratore si sottopone a cure termali. In sostanza, trattasi di un problema del tutto falso, perche', non esistendo norme particolari in materia, dovrebbe essere ovvio che si deve far capo al principio generale secondo cui, se l'assistito si trova in condizioni tali di salute da essere incapace al lavoro, l'indennita' gli spetta; se, invece, e' capace al lavoro, non gli e' dovuta. E' vero che anche nella seconda ipotesi, per la distanza tra lo stabilimento termale e il posto di lavoro, per la interferenza dell'orario delle cure con quello di svolgimento dell'attivita' lavorativa, per entrambi i motivi o per altri ancora, non e' mai possibile in pratica sottoporsi alle cure e, nella stessa giornata, andare al lavoro; ma, ai fini che qui interessano, non ha rilevanza qualsiasi ostacolo che impedisca all'assistito il prestare la sua attivita' lavorativa, senza tuttavia dipendere da inidoneita' fisica al lavoro cagionata da malattia. Per quanto riguarda le cure termali, e' da tener presente che esse sono controindicate durante una malattia in fase acuta e, percio', il lavoratore viene solitamente autorizzato ad eseguirle nei soli periodi di capacita' lavorativa, quando l'affezione per la quale esse sono state prescritte non si presenta in fase acuta e invalidante: in queste condizioni, non si puo' riconoscere il diritto all'indennita' di malattia. Esso, invece, spettera' nell'ipotesi di esecuzione delle cure termali durante un periodo di incapacita' al lavoro. La questione specifica, secondo quanto risulta, non e' stata mai sottoposta alla Corte - 18 - di Cassazione: si vede che e' stato ritenuto chiaramente corretto l'orientamento univoco dei giudici di merito, che e' nel senso di cui sopra (44). 7. Condizioni oggettive: segue. Carattere generico della malattia. - Perche' dia diritto all'indennita' giornaliera, occorre che l'infermita' abbia carattere generico. Quello di malattia generica e' un concetto convenzionale e meramente giuridico, non gia' fondato sulla scienza medica: e' generica ogni malattia che non costituisce oggetto di una particolare assicurazione sociale, quali sono quelle contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e contro la tubercolosi. La necessita' della distinzione da quest'ultima forma di assicurazione sociale sussiste anche dopo che, con la riforma sanitaria, l'indennita' giornaliera per le malattie generiche e' stata attribuita allo stesso ente (I.N.P.S.) competente in materia di prestazioni antitubercolari, giacche' si tratta di prestazioni distinte che hanno natura in parte diversa e sono sottoposte a diverse discipline normative circa i requisiti a cui sono subordinate, i periodi di erogazione e il "quantum"; non solo, ma per il 1 comma dell'art. 74 L. 23 dicembre 1978, n. 833, l'INPS deve tenere una gestione separata apposita per le indennita' di malattia e di maternita'. La norma che riguarda i rapporti con le altre assicurazioni sociali e' contenuta nell'art. 5 L. 11 gennaio 1943, n. 138, che prevede la competenza passiva dell'INAM "per i casi di malattia, ad esclusione di quelle il cui rischio e' coperto per legge da altre forme di assicurazione". Nell'interpretazione di questa norma la giurisprudenza, da principio, era incerta se ritenere che, ad escludere la competenza passiva dell'INAM, fosse condizione necessaria e sufficiente l'esistenza di una forma specifica di assicurazione sociale per la particolare malattia da cui il lavoratore era stato colpito (45), oppure fosse anche necessario il concorso delle condizioni richieste per l'esistenza in concreto del diritto alla prestazione da parte dell'ente assicuratore specifico (46). Ma con una storica sentenza del 20 luglio 1955 la Corte di Cassazione, fino ad allora decisamente orientata nel primo senso, pose le premesse per una revisione dei rapporti fra l'INAM e gli altri enti assicuratori, stabilendo, in sostanza, che il rischio e' altrimenti "coperto" ai sensi dell'art. 5 L. 11 gennaio 1943, - 19 - n. 138, quando la malattia da cui l'assicurato e' affetto, non soltanto rientra fra quelle per le quali esiste una forma specifica di assicurazione sociale, ma da' diritto in concreto alla prestazione da parte dell'altro ente assicuratore, avendo l'assicurato i necessari requisiti di legge (47). Successivamente, la Cassazione ha deciso altre volte, come subito vedremo, sempre in quest'ultimo senso, si' che ormai si puo' parlare di "ius receptum", anche perche' la giurisprudenza di merito si e' per lo piu' adeguata agli insegnamenti della Corte Suprema: "per lo piu'", giacche' non manca qualche decisione dissonante (48). La questione dell'interferenza con le assicurazioni specifiche gestite dall'INAIL (infortuni sul lavoro e malattie professionali) si presento' all'INAM, in materia di indennita' di malattia, in alcuni casi di recrudescenza degli esiti di infortuni sul lavoro, la quale aveva comportato inabilita' temporanea assoluta e si era verificata a notevole distanza di tempo dall'epoca dell'infortunio (oltre un decennio). L'INAM, rifacendosi al primo degli orientamenti interpretativi di cui si e' parlato, eccepi' la propria imcompetenza passiva, trattandosi di eventi che formavano oggetto di assicurazione specifica gestita dall'INAIL. Ma, salvo qualche decisione di merito in tal senso (49), l'esito finale delle liti fu sfavorevole all'Istituto, essendo stati enunciati questi principi, che si riportano all'altro orientamento: secondo quanto previsto dalla speciale legislazione antinfortunistica - , la riacutizzazione dei postumi di un infortunio da' titolo al lavoratore unicamente a pretendere dall'INAIL, entro un decennio dalla costituzione della rendita per inabilita' parziale permanente, una revisione della stessa in caso di stabilizzazione dell'inabilita' al lavoro a un livello piu' elevato, ma non gli da' diritto ad assistenza specifica per le giornate durante le quali egli risulti temporaneamente del tutto incapace al lavoro; in siffatta ipotesi, pertanto, poiche' l'evento non e' coperto dall'assicurazione specifica, l'INAM deve corrispondere al lavoratore l'indennita' di malattia (50). Nella sentenza della Cassazione n. 1166 del 1972 (la prima che si e' occupata della questione specifica), l'incompetenza passiva dell'INAIL sembra limitata alla fattispecie dei postumi ultradecennali; ma nella successiva sentenza n. 278 del 1973 non si parla piu' di decennio: cosicche', si dovrebbe - 20 - ritenere che, una volta raggiunta la guarigione clinica dalle lesioni conseguenti all'infortunio o alla malattia professionale, qualsiasi riacutizzazione, in qualsiasi periodo verificatosi (dopo o prima di dieci anni), dia diritto all'indennita' da parte dell'INPS, non avendo l'INAIL altro obbligo che quello della revisione della rendita, alle condizioni di legge. Ma non si puo' proprio dire che questa soluzione, specie se riferita ai postumi infradecennali, sia sicuramente esatta, giacche' nella legislazione antinfortunistica non e' dato rinvenire traccia di norme le quali stabiliscano chiaramente che l'INAIL non sia mai tenuto alla cosiddetta "riammissione in temporanea" nemmeno entro i dieci anni. L'INAM, nell'adeguarsi all'orientamento della corte Suprema, concordo' con l'INAIL una soluzione bonaria consacrata in una deliberazione del suo Consiglio di amministrazione del 4 ottobre 1974: cioe', l'INAM assunse a proprio carico l'"onere dell'assistenza economica a favore dei lavoratori, titolari di rendita per infortunio sul lavoro o per malattia professionale, colpiti da postumi insorti, rispettivamente, dopo 10 o 15 anni dalla costituzione della rendita", provvedimento estensibile ai titolari di rendita per i quali, risultando il grado di invalidita' permanente determinato, in via definitiva, in misura superiore al 10% ma inferiore al 16% (T.U. citato, artt. 75 e 137), dopo la scadenza dei 10 o 15 anni l'INAIL avesse provveduto di ufficio alla liquidazione in capitale della rendita (51) (per la riacutizzazione della malattia professionale si parla di quindici anni anziche' di dieci, perche' l'art. 137, penultimo cpv. T.U. citato prevede la possibilita' della revisione fino a quindici anni dalla data di costituzione della rendita). La questione dell'interferenza dell'assicurazione di malattia gestita dall'INAM con l'assicurazione contro la tubercolosi, si pone con riferimento a due diverse fattispecie: quella del lavoratore che, al momento di insorgenza della malattia tubercolare, non era soggetto ad assicurazione contro la tubercolosi o non aveva maturato il periodo contributivo necessario per il diritto all'assistenza specifica (cioe', l'anno di contribuzione ex art. 3 L. 6 agosto 1975, n. 419); e la fattispecie del lavoratore colpito da malattia di natura tubercolare ma non in fase attiva. Stante i principi generali ormai affermatisi in giurisprudenza in materia di rapporti tra assicurazione contro le malattie generiche e altre assicurazioni sociali, e' chiaro che il lavoratore non in possesso dei requisiti di legge per aver - 21 - diritto all'assistenza antitubercolare va considerato ai fini assicurativ, come affetto da malattia generica, con diritto alla relativa indennita' (52). Per quanto riguarda la distinzione fra tubercolosi in fase attiva e tubercolosi in fase non attiva, e' da tener presente che, mentre dapprima si ritenne che l'una fosse di competenza dell'INAM e l'altra di competenza dell'INPS (53), successivamente si e', invece, affermato il principio secondo cui l'art. 15 R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, parla di diritto degli assicurati "al ricovero in luoghi di cura quando siano riconosciuti affetti da forma tubercolare in fase attiva", solo per precisare la condizione per il diritto al ricovereo, non anche per limitare la competenza assistenziale dell'INPS a una sola forma di tubercolosi (54). Una volta accerta, quindi, la natura tubercolare della malattia, in fase attiva o no, il caso va trattato secondo il regime assicurativo specifico. 8. Condizioni oggettive: segue. Difetto di retribuzione - Data la funzione, che ha l'indennita' giornaliera, di compensare la perdita di retribuzione subita dal lavoratore ammalatosi, essa postula evidentemente che, durante le giornate di malattia ed a causa di questa, il lavoratore medesimo rimanga senza retribuzione. L'esigenza di questa condizione, del resto, e' espressamente codificata nel 2 comma dell'art. 6 L. 11 gennaio 1943, n. 138, che, riprendendo disposizioni analoghe contenute nell'art. 12 c.c. naz. 3 gennaio 1939, stabilisce che "l'indennita' non e' dovuta quando il trattamento economico di malattia e' corrisposto per legge o per contratto collettivo dal datore di lavoro o da altri enti in misura pari o superiore....Le prestazioni corrisposte da terzi in misura inferiore a quella dell'indennita' saranno integrate dall'Ente (I.N.A.M.) sino a concorrenza". Si controverte sul diritto all'indennita' in favore del lavoratore ammalatosi mentre e' sospeso dal lavoro senza retribuzione, in quanto in aspettativa per incarichi sindacali ai sensi della L. 20 maggio 1970, n. 300 (statuto dei lavoratori). L'art. 31 prevede per tale fattispecie "il diritto alle prestazioni a carico dei competenti enti preposti alla erogazione delle prestazioni medesime": e, poiche' la norma non distingue tra prestazione e prestazione e non esclude espressamente quella di natura economica, si e' sostenuto che essa attribuisca il diritto anche all'indennita' di malattia (55). Ma e' facile rilevare che, anche quando non fosse insorta la malattia, l'assistito non avrebbe comunque - 22 - prestato, in quanto sospeso, attivita' lavorativa e, quindi, l amalattia non ha potuto cagionargli astensione dal lavoro con perdita di retribuzione, che debba essere compensata dall'erogazione dell'indennita' economica giornaliera (56). Questione analoga sorge nel caso del lavoratore che, durante l'infermita', si trovi in carcere: con la differenza che per tale fattispecie esiste una norma ben precisa, contenuta nel 2 comma dell'art. 32 c.c. naz. 3 gennaio 1939, in forza di cui il lavoratore che "sia internato in una casa di pena durante la malattia" decade dal diritto alle prestazioni assicurative in genere (in sede di "piccola riforma", l'INAM trasfuse questa disposizione nell'art. 4, n. 5 "Reg. prestaz. econ.", circoscrivendo la decadenza alla sola indennita' giornaliera). La norma e' stata considerata tuttora applicabile, sotto il profilo che, nel caso del soggetto incarcerato, sulla malattia prevale la privazione della liberta' personale quale causa impeditiva della prestazione di lavoro e della percezione del salario: malato o no, il soggetto, in quanto incarcerato, non avrebbe percepito un salario, donde l'incompatibilita' fra questa sua condizione e il diritto di percepire l'indennita' di malattia; e, data la "ratio", la norma va riferita ad ogni ipotesi di privazione della liberta' personale del lavoratore in applicazione di norme penali: quindi, anche all'ipotesi di carcerazione preventiva (57). La questione piu' delicata in tema di interferenza dell'indennita' di malattia con la retribuzione, si e' presentata nei casi di lavoratori affetti da malattia durante un periodo di ferie retribuite, controvertendosi sulla cumulabilita' dell'indennita' con la retribuzione relativa alle ferie: ed e' tanto piu' delicata perche' connessa con l'altra questione, prettamente giuslavoristica, di stabilire se la malattia provochi, oppure no, sospensione delle ferie. Essa, naturalmente, sorge nei soli casi di ferie predeterminate in cui la ditta corrisponde la retribuzione al dipendente e, anche se egli e' stato affetto da malattia, non e' disposta, per esigenza di produttivita', a farlo godere delle ferie in un periodo successivo alla guarigione: che' altrimenti, se le ferie vengono spostate a un altro periodo, durante la malattia la ditta non corrisponde la retribuzione e non sussiste il problema della cumulabilita'. - 23 - Occorre distinguere a seconda che il lavoratore sia gia' ammalato all'inizio delle ferie, o vada in ferie sano e si ammali durante il periodo delle ferie. Con riguardo alla prima fattispecie, non si dubita che all'insorgenza della malattia va attribuito effetto sospensivo delle ferie: il datore di lavoro non puo' mandare in ferie il dipendente gia' ammalato, perche' la malattia costituisce impedimento al godimento di esse e non puo' dar luogo al loro decorso; cosicche' o le deve spostare ad un periodo successivo alla guarigione, o, se non vi provvede, deve corrispondere al lavoratore un'indennita' compensativa del mancato godimento (58). Le conseguenze, quanto al diritto all'indennita' di malattia, sono ovvie: se lo spostamento delle ferie ad altro periodo non avviene, il lavoratore ammalato, in effetti, non ne gode e, quindi, la somma corrispostagli dal datore di lavoro ha natura non gia' di retribuzione delle ferie, ma di erogazione compensativa del mancato godimento di esse; conseguentemente, gli e' dovuta anche l'indennita' di malattia, che, se non e' cumulabile con la retribuzione, e' invece cumulabile con l'indennita' compensativa (59). Con riguardo alla fattispecie del lavoratore che va in ferie sano e si ammala durante il periodo delle ferie, la giurisprudenza e' divisa: mentre, secondo alcune sentenze, il sopravvenire della malattia ha inevitabilmente effetto sospensivo delle ferie (60), per altre, invece, trattasi di un fatto irrilevante (61). Quanto al diritto all'indennita' di malattia, le conseguenze logiche dovrebbero essere che le sentenze del primo gruppo lo dovrebbero riconoscere, non diversamente da quel che avviene in caso di malattia gia' in atto all'inizio del periodo predeterminato per le ferie, mentre il diritto all'indennita' va negato se si esclude l'effetto sospensivo delle ferie. La soluzione che appare corretta e' la prima, essendo indifferente che la malattia insorga prima o dopo la data iniziale del periodo delle ferie: quel che importa e' solo la concomitanza temporale tra lo stato di malattia e il periodo feriale (62). Un posto a se' occupa la sentenza della Cassazione n. 4970 del 1981, che, pur ravvisando la sospensione delle ferie, esclude il diritto del lavoratore all'indennita', giacche' la somma gli era stata corrisposta dal datore di lavoro quale retribuzione e il giudice di merito, per il fatto che "ha implicitamente considerato tale retribuzione come equipollente alla indennita' sostitutiva delle ferie", secondo la Corte Suprema, "ha arbitrariamente immutato il titolo in base al quale la - 24 - dazione della somma fu incontestatamente effettuata" (63). Ma, nel caso risolto con la sentenza n. 2019 del 1978, che appare corretta, alla Cassazione non era sorto il dubbio circa la possibilita', per il giudice, di mutare il titolo del pagamento eseguito dal datore di lavoro. 9. Condizioni per la conservazione del diritto: comportamenti da cui derivano decadenze. - Esistono norme specifiche che prevedono sanzioni a carico del lavoratore, consistenti nella perdita, totale o arziale, del diritto gia' acquisito all'indennita' per un'infermita' in atto, a causa di comportamenti scorretti da lui tenuti durante la malattia. Originariamente esse erano contenute nell'art. 19, 2 comma, e nell'art. 32, 2 comma, c.c. naz. 3 gennaio 1939, in forza dei quali decadeva dal diritto all'indennita' di malattia, pur conservando quello alle prestazioni sanitarie, il lavoratore che fosse uscito di casa senza regolare permesso del medico (art. 19, 2 comma, lett. a), avesse eseguito durante la malattia lavori retribuiti (idem, lett. b) o si fosse dedicato ad attivita' o, comunque, avesse compiuto azioni tali da poter pregiudicare il decorso della malattia (idem, lett. c); mentre perdeva il diritto a tutte le prestazioni, anche sanitarie, il lavoratore che avesse prolungato ad arte o simulato malattia o carpito alla Mutua prestazioni non dovutegli, oppure alterato o falsificato certificati medici (art. 32, 2 comma, lett. a), o che avesse rifiutato di sottoporsi alla visita del medico di controllo o non avesse seguito le cure mediche prescrittegli (idem, lett. b). In sede di "piccola riforma" l'INAM trasfuse queste disposizioni nel "Reg. prestaz. econ.", con una innovazione in senso favorevole ai lavoratori, giacche' previde come sanzione, per tutte le fattispecie, la sospensione del solo diritto all'indennita' economica per non piu' di 30 giorni (reg. cit., art. 4 e art. 4-bis introdotto con deliberazione consiliare del 2 dicembre 1966 al fine, soprattutto, di precisare la durata minima e massima della sospensione del diritto all'indennita' per le singole infrazioni). Anche se non vi fossero queste norme espresse, non sarebbe difficile ricavarle dai principi generali in materia di obbligazioni e contratti, i quali, benche' contenuti nel codice civile, non sono circoscritti al diritto civile e commerciale e a quello privato del lavoro, ma trovano applicazione, come dovrebbe essere incontroverso, in tutti i rami del diritto: anche - perche' no? - in quello delle assicurazioni sociali. Cosi', secondo quanto stabilisce il codice civile, nel rapporto obbligatorio non soltanto il - 25 - debitore, ma anche il creditore deve "comportarsi secondo le regole della correttezza" (art. 1175); "il contratto deve essere eseguito secondo buona fede" (art. 1375); "il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta" (art. 2104); nell'assicurazione contro i danni, "l'assicurato deve fare quanto gli e' possibile per evitare o diminuire il danno" (art. 1914, 1 comma). Per quanto riguarda l'orientamento della giurisprudenza, e' da far presente che molte delle fattispecie sopra enumerate non hanno mai dato luogo a vertenze legali. Secondo quel che risulta, la giurisprudenza si e' occupata di tre soltanto; cioe', quella dell'assicurato che, durante la malattia, sia uscito di casa violando le prescrizioni del medico curante; quella dell'assicurato che, con il suo comportamento, abbia reso impossibile all'istituto assicurare lo svolgimento di controlli sanitari; e quella dell'assicurato che non abbia seguito le cure mediche prescrittegli. In relazione alla prima fattispecie, la giurisprudenza e' divisa: alcune sentenze hanno stabilito la piena legittimita' delle norme sanzionatorie (64); altre, invece, hanno deciso in senso opposto, o sotto il profilo che la legittimita' delle nrome sanzionatorie postula che esse siano contenute in fonti legislative, mentre non e' conciliabile con la natura di norme contrattuali collettive o, peggio, con quella di norme interne dell'INAM, o sotto il profilo che qualsiasi norma sanzionatoria contrasta con i principi enunciati dalla Carta costituzionale (65). Cosi' decidendo, pero', non si tiene conto del fatto che l'art. 6, 4 comma, L. 11 gennaio 1943, n. 138, e' una norma in bianco, il cui preciso contenuto e' dato, attraverso un rinvio formale, dai contratti collettivi nazionali di lavoro dell'epoca corporativa, che per questa via vengono a far parte integrante della L. n. 138; e, quanto all'abusato riferimento ai principi costituzionali, ci si dovrebbe convincere che essi non sono incompatibili con qualsiasi norma restrittiva o preclusiva dei diritti dei lavoratori, ma consentono al legislatore ordinario di prevedere ragionevoli limitazioni. E non si dica che sia irragionevole limitare il diritto all'indennita' di malattia, escludendolo per il lavoratore che, anziche' comportarsi con debita diligenza in modo da poter al piu' presto guarire e tornare al lavoro, fa quello che gli pare e piace, noncurante se possa derivarne un aggravamento o un prolungamento della - 26 - malattia. Del resto, c'e' una sentenza in cui la Corte di Cassazione, pur essendo stato posto il problema della lavoro (datore di lavoro-lavoratore), sia pure "ad abundantiam" ha parlato di legittimita' anche nell'ambito del rapporto assicurativo con l'INAM (66). Quanto alla fattispecie del lavoratore che si sia sottratto all'accertamento sanitario da parte dell'istituto assicuratore, sia pure non facendosi trovare in casa dal medico di controllo in un'ora in cui, secondo le prescrizioni del medico curante, vi sarebbe dovuto stare, la giurisprudenza, anche della Cassazione, e' orientata in senso favorevole all'INAM, ritenendo che il comportamento del lavoratore si risolve in un difetto di prova sull'esistenza dell'incapacita' al lavoro per causa di malattia (67). Ovviamente, lo stesso e' da dire se l'assicurato poteva uscire liberamente, ma era stato preavvertito del giorno e dell'ora stabilita per la visita di controllo, o se era stato invitato a recarsi in ambulatorio, in un'ora in cui poteva uscire, per essere sottoposto ivi ad accertamento sanitario (68). Per completezza e' da dire che non manca qualche giudice di merito il quale ritiene illegittime le norme che sanzionano l'infrazione "de qua" (69). Quanto alla fattispecie dell'assicurato che non abbia seguito le cure mediche prescrittegli, risulta una sola sentenza, la quale ha stabilito la legittimita' della sanzione inflitta dall'INAM all'assistito che abbia rifiutato le cure prescrittegli, purche' non si tratti di dover sottostare ad intervento chirurgico: al riguardo, la sentenza ha stabilito che, quando la legge vuol far discendere dal rifiuto dell'intervento chirurigco la perdita del diritto alle prestazioni, lo deve dire espressamente, come faceva l'art. 32 R.D. 17 agosto 1935, n. 1765 (70). 10. Giornate indennizzabili. - Il diritto all'indennita' non sussiste per tutte le giornate comprese nel periodo di malattia: e questo spiega lo scarto, a cui si e' gia' accennato, tra periodo di assistenza sanitaria e periodo di erogazione della prestazione economica. Anzitutto, l'indennita' non e' dovuta per i primi tre giorni di malattia, che costituiscono il periodo cosiddetto di "carenza" (v. combinato disposto dell'art. 6, 4 comma, L. 11 - 27 - gennaio 1943, n. 138, e dell'art. 14, 1 comma, c.c. naz. 3 gennaio 1939; art. 3, 1 comma, D.L.C.P.S. 31 ottobre 1947, n. 1304) (71), con la sola eccezione per l'ipotesi di ricaduta, in cui l'indennita' spetta fin dal primo giorno del nuovo periodo di malattia (72). Il diritto all'indennita' va, poi, escluso, per le domeniche, giacche', data la sua natura risarcitoria, essa va corrisposta per le sole giornate in relazione alle quali la malattia ha impedito al lavoratore di prestare la propria attivita' lavorativa e di percepire la retribuzione: il che ordinariamente non si verifica nelle domeniche. Se ne ha una conferma nell'art. 18 c.c. naz. 3 gennaio 1939, che attribuiva al consiglio direttivo della Mutua (corrispondente al consiglio di amministrazione dell'INAM) la semplice facolta' di deliberare ogni sei mesi se l'indennita' dovesse essere corrisposta anche nei giorni festivi (73). Per le festivita' infrasettimanali e' da fare un discorso differente, giacche' la legge attribuisce ai lavoratori il diritto alla normale retribuzione, anche se tali festivita' ricadano in un periodo di assenza per malattia (combinato disposto degli artt. 5 L. 27 maggio 1949, n. 260, 2 e 3 L. 31 marzo 1954, n. 90): quindi, non spetta l'indennita', che non e' cumulabile con la retribuzione. Pero' l'art. 3 L. n. 90 cit. esclude il diritto alla retribuzione se le festivita' ricadano in "periodi di sospensione del lavoro in atto da oltre due settimane". Se ne deduce che per le festivita' infrasettimanali il diritto all'indennita' di malattia non puo' essere ne' sempre escluso, come fanno alcune sentenze (74), ne' sempre riconosciuto, come fanno altre (75); ma si deve distinguere a seconda che le dette festivita' siano comprese o non nelle prime due settimane dall'ultima giornata di presenza al lavoro: nel primo caso, il diritto va escluso, spettando al lavoratore la retribuzione da parte del datore di lavoro; nel secondo caso, non gli si puo' contestare il diritto all'indennita' (76). 11. Misura; interessi moratori; rivalutazione monetaria. - Come si e' gia' accennato, l'erogazione dell'indennita' di malattia consiste nel pagamento al lavoratore di una somma di denaro. Per quel che concerne il "quantum", originariamente si trattava di una somma fissa giornaliera rapportata all'ammontare della paga oraria, secondo certi scaglioni di salario (v. ad es., la tabella di cui all'art. 13 c.c. naz. 3 - 28 - gennaio 1939), o, per gli agricoli, riferita alle singole categorie di lavoratori (salariati fissi, braccianti abituali, ecc.) e distinta secondo che si trattasse di uomini oppure di donne o ragazzi (v. tabella B all. 2 al D. Lgt. 9 aprile 1946, n. 212). Successivamente sono intervenute delle disposizioni legislative che hanno stabilito l'indennita', in generale, in una percentuale (50%) della retribuzione media globale giornaliera percepita dal lavoratore anteriormente alla malattia (v., per il settore industria, la tabella all. 1 al D. Lgs. Lgt. 19 aprile 1946, n. 213; per il settore agricoltura, la L. 26 febbraio 1963, n. 329, art. 1; per il settore commercio, la tabella all. 1 al D.L.C.P.S. 31 ottobre 1957, n. 1304). Nell'ambito della cosiddetta "piccola riforma" attuata con provvedimenti interni per supplire all'inerzia del legislatore, l'INAM elaboro', quanto alle assistenze di natura eocnomica, un "Regolamento delle prestazioni economiche agli assicurati", approvato con D.M. 10 aprile 1963, che innovo' la disciplina legislativa in senso favorevole ai lavoratori: in particolare, stabili' che, se la malattia perdura dopo il 20 giorno da quello dell'insorgenza, l'indennita' viene elevata, dal 21 giorno in poi, dal 50% ai 2/3 della retribuzione giornaliera (Reg. cit., art. 12). Per i lavoratori agricoli, la norma ha avuto una consacrazione legislativa con l'art. 1 L. 8 agosto 1972, n. 457. Per fattispecie particolari esistono delle norme apposite, che prevedono misure ridotte dell'indennita' di malattia. cosi', essa spetta in misura pari ai 2/3 di quella normale, se l'infermita' insorge quando l'assicurato non e' in costanza di lavoro, ma si trova, purche' da non oltre due mesi (periodo detto di "protezione" o "copertura assicurativa"), licenziato, dimissionario o sospeso dal lavoro senza retribuzione (c.c. naz. 3 gennaio 1939, art. 30, e Reg. prestaz. econ., art. 12); e, durante il ricovero ospedaliero a carico dell'ente gestore dell'assistenza sanitaria, spetta in misura pari ai 2/3 o ai 2/5 di quella normale, secondo che il lavoratore abbia o no familiari viventi a carico (c.c. naz. 3 gennaio 1939, art. 20 e Reg. prestaz. econ., art. 14). La fattispecie del lavoratore ricoverato in ospedale durante la malattia, in questi ultimi tempi ha dato luogo a varie vertenze legali, sostenendosi da alcuni che, poiche' per l'art. 12 D.L. 8 luglio 1974, n. 264 (convertito con modificazioni nella L. 17 agosto 1974, n. 386), la competenza passiva in materia di assistenza ospedaliera e' stata - 29 - trasferita dagli enti mutualistici alle Regioni, ha perduto ogni ragion d'essere la normativa che prevedeva una riduzione nella misura dell'indennita', parlando, fra l'altro, testualmente, di "ricovero a spese della Mutua" (77). Ma la tesi non appare convincente, poiche' la norma postula soltanto che il ricovero non avvenga a spese dell'infermo o di suoi familiari, ma sia a carico di un ente gestore di assistenza di malattia, non necessariamente mutualistico: e la "ratio" e' evidente, dato che il lavoratore ricoverato riceve un trattamento comprensivo anche del vitto e, rispetto a quello che non si trova ricoverato, e' meno bisognoso di assitenza economica (78). La questione, comunque, e' aperta, non essendosi ancora pronunciata al riguardo la Corte di Cassazione, che ne e' stata investita. Per quanto riguarda cio' che si deve intendere per retribuzione giornaliera a cui commisurare l'indennita' di malattia, il principio generale e' che va preso in considerazione tutto cio' che, nell'ultimo periodo quadrisettimanale o mensile precedente la data di insorgenza dell'infermita', il lavoratore ha ricevuto dal datore di lavoro, anche in natura, a titolo di compenso per l'opera prestata; il totale si deve dividere per il numero delle giornate di lavoro compiute nel suddetto periodo o, se si tratta di un dipendente del commercio con qualifica impiegatizia, per 30: il risultato cosi' ottenuto costituisce il salario giornaliero da prendere a base per il computo dell'indennita' di malattia. Qualche difficolta' ha fatto sorgere al riguardo la fattispecie della cosiddetta settimana "corta", in cui cioe', fermi restando, rispetto alla fattispecie della settimana piena normale, il numero delle ore di lavoro compiute e l'ammontare complessivo della retribuzione percepita, l'attivita' lavorativa viene svolta in soli cinque giorni anziche' in sei, in modo che il sesto giorno rimanga libero e le ore di lavoro ad esso relative vengano ripartite fra gli altri cinque giorni, in aggiunta a quelle normali. La questione sembrerebbe definitvamente risolta con una interessante sentenza della Corte Suprema (79), la quale ha stabilito che, poiche' in tale fattispecie rimangono invariati la retribuzione settimanale e il numero delle ore lavorative previsto per sei giornate, cioe' il numero delle stesse giornate lavorative, "ai fini del calcolo del salario medio giornaliero si devono considerare non 5, ma 6 giornate - 30 - settimanali retribuite, e nel liquidare al lavoratore infermo l'indennita' di malattia devono essergli corrisposti 6 assegni giornalieri alla settimana per sei giorni da lunedi' a sabato incluso". A un contenzioso piuttosto nutrito ha dato luogo la determinazione dell'indennita' di malattia in favore dei lavoratori agricoli secondo le innovazioni introdotte per questo settore dalla L. 8 agosto 1972, n. 457. Essa, al 1 comma dell'art, 3, prevede che l'indennita' si deve commisurare alla retribuzione fissata secondo le modalita' di cui all'art. 28 DPR 27 aprile 1968, n. 488, il quale, al 1 comma, aveva indicato i criteri per la determinazione della base imponibile valevole ai fini dell'assicurazione generale per l'invalidita' e vecchiaia, prevedendo una determinazione annuale da attuarsi per ogni provincia con decreto del Ministro del Lavoro, e, al 3 comma, aveva stabilito le misure di retribuzione da prendersi a base nell'intervallo tra il 1 agosto 1968 e la data di emanazione dei decreti ministeriali. L'art. 3 L. n. 457, dopo aver posto al 1 comma la regola suddetta, ha elevato all'ultimo comma la misura provvisoria di retribuzione stabilita dall'art. 28 cit., cosi' statuendo: "Fino all'emanazione dei relativi decreti ministeriali e' stabilita una retribuzione media di L. 3250 giornaliere". Il problema si e' posto in quanto i decreti ministeriali vengono emanati non gia' all'inizio, ma nel corso dell'anno a cui si riferiscono e, per i giornalieri di campagna, verso la fine dell'anno o addirittura al principio di quello successivo: sicche', una volta che essi siano stati emanati, e' da vedere se valgano dal giorno dell'emanazione in poi o retroagiscano fino all'inizio dell'anno o, quanto ai primi, fino alla data di entrata in vigore della L. n. 457. L'accoglimento di quest'ultima soluzione complica le cose, in quanto comporta che l'indennita' che, prima dell'emanazione del decreto ministeriale, viene liquidata in base al salario giornaliero previsto dal decreto ministeriale dell'anno precedente o, da principio, e' stata liquidata in base alla suddetta misura di L. 3250 giornaliere, si deve considerare provvisoria e soggetta a complesse operazioni di conguaglio. Tuttavia, salvo una parte della giurisprudenza di merito (80), la Corte di Cassazione ha stabilito univocamente in varie sentenze il principio della provvisorieta' e del conguaglio (81). Trattando del contenuto del diritto all'indennita' di malattia, ci si deve occupare anche delle questioni - 31 - concernenti gli interessi moratori e la rivalutazione monetaria. Per quel che concerne gli interessi, e' da ritenere che essi spettino al lavoratore, ogni qualvolta vi sia un ritardo nel pagamento dell'indennita': e cio' perche', come vedremo, e' prevista una scadenza ben precisa per il suo pagamento e, quindi, trova applicazione il principio generale dell'art. 1224 cod. civ., secondo cui, "nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di denaro, sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali, anche se non erano dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno". Si puo' solo discutere da quale data essi decorrano: al riguardo, in giurisprudenza vengono seguite varie soluzioni, senza che nessuna sia ancora riuscita a prevalere sulle altre: secondo alcune decisioni, essi decorrono dalla data di scadenza della prestazione (82); secondo altre, dal giorno finale del periodo di malattia (83); secondo altre ancora, decorrono dalla domanda giudiziale (84). Non mancano sentenze che si limitano a stabilire la spettanza degli interessi legali, lasciando insoluta la questione della loro decorrenza (85). Nei casi in cui il ritardo nel pagamento dell'indennita' e' imputabile al datore di lavoro, essendo egli tenuto ad anticiparla per l'art. 1 D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, e' sostenibile che l'INPS non sia tenuto a rimborsargli gli interessi, che gravano unicamente su esso datore di lavoro (trattasi, pero', di questione del tutto nuova, su cui non risulta che si siano ancora avute pronunce giurisprudenziali). Veniamo, ora, alla questione se la somma spettante al lavoratore per indennita' di malattia debba essere sottoposta a adeguamento in rapporto alla svalutazione della moneta. In base ai principi generali, non dovrebbe essere dubbia la risposta negativa, giacche', trattandosi di debito pecuniario, vale il cosiddetto principio nominalistico ex art. 1277 cod. civ., secondo cui esso si estingue "con moneta avente corso legale nello Stato al tempo dal pagamento e per il suo valore nominale". I dubbi sono sorti con l'entrata in vigore della "novella" 11 agosto 1973, n. 533, per effetto della quale il 3 comma dell'art. 429 del codice di rito, compreso nel capo relativo alle controversie individuali di lavoro, risulta formulato come seuge: "Il giudice, quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro, deve determinare, oltre gli interessi nella misura - 32 - legale, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito, condannando al pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto". Poiche' nel successivo capo riguardante le controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatoria c'e' la generale norma di rinvio dell'art. 442, 1 comma, alcune sentenze di merito hanno attribuito al lavoratore il diritto alla rivalutazione della somma dovutagli quale prestazione previdenziale (86). Ma le magistrature supreme hanno deciso in senso opposto, stabilendo l'inapplicabilita' alle controversie previdenziali dell'art. 429, 3 comma, che e' una norma di natura sostanziale, mentre il rinvio e' operato dall'art. 442, 1 comma, unicamente alle norme procedurali sulle controversie individuali di lavoro: e alcune sentenze della Cassazione hanno enunciato questo principio con riguardo specifico all'indennita' di malattia erogata dall'INAM (87). Prima di chiudere questa parte in tema di "quantum", appare utile accennare ad alcune questioni che, se non sono ricorrenti, tuttavia hanno dato luogo e possono ancora dar luogo a vertenze giudiziarie. Cosi', si e' posto il problema di stabilire se, in caso di ricaduta nella stessa malattia, l'indennita' giornaliera va commisurata alla paga percepita dal lavoratore nel periodo anteriore al primo episodio morboso, o a quella percepita nell'intervallo tra la guarigione e l'episodio morboso successivo. Si hanno solo sentenze di merito, le quali hanno deciso nel primo senso, ritenendo che l'art. 17 c.c. naz. 3 gennaio 1939, quando definisce come continuazione della malattia la ricaduta nella stessa infermita' o la contrazione di una infermita' conseguenziale che si verifichi entro trenta giorni dalla data del certificato di guarigione relativo a quella precedente, intende dare al concetto di continuazione una rilevanza generale: cioe', i due episodi morbosi si debbono considerare come una sola malattia a tutti i possibili effetti (88). Non risultano decisioni "ad hoc" della Corte di Cassazione, la quale pero', sia pure "per incidens" ad altro proposito, ha enunciato il principio secondo cui l'art. 17 cit. equipara la ricaduta alla continuazione della precedente malattia al solo fine di escludere che la c.d. "carenza (v. "infra"), gia' applicata per i primi tre giorni di malattia, debba essere applicata una seconda volta in caso di ricaduta (89). A tutti gli altri fini, dunque, la ricaduta e' una malattia a se': con la conseguenza che l'indennita' per le giornate di ricaduta si deve commisurare alla paga percepita dal lavoratore nell'intervallo tra i due episodi morbosi. In questo senso si deve intendere modificato il contenuto della circolare n. 134368 AGO/14 del 28 gennaio 1981, pag. 6, punto 5, lett. c), e della circolare n. 134386 AGO/83 del 6 aprile 1982, pag. 1. - 33 - Nel caso della malattia del lavoratore che, per un precedente infortunio sul lavoro o una precedente malattia professionale, percepisce dall'INAIL una rendita per inabilita' parziale permanente, si e' controverso se l'indennita' di malattia vada corrisposta in msiura intera, oppure debba essere decurtata dell'importo della rendita corrispondente alle giornate di malattia da indennizzare. Non risulta che sulla questione si sia mai pronunciata la Corte Suprema: si hanno solo poche sentenze di merito, alcune delle quali hanno deciso nel senso che l'indennita' si deve corrispondere per intero, cumulandola con la rendita (90), mentre altre, con un ragionamento tutt'altro che persuasivo, hanno enunciato il principio opposto (91). 12. Modalita' di pagamento - Prima della riforma sanitaria, le disposizioni vigenti prevedevano che l'indennita' economica di malattia (o di maternita') venisse erogata agli assistiti direttamente dall'INAM, senza intermediazione dei datori di lavoro; pero' negli ultimi tempi l'Istituto aveva stipulato convenzioni "ad hoc" con singole ditte, in forza delle quali queste ultime anticipavano l'indennita' ai dipendenti per conto dell'Istituto, con cui poi regolavano i loro rapporti di dare e avere. Il sistema, ancorche' non immune da inconvenienti, si dimostro' vantaggioso per i lavoratori, in quanto idoneo a consentire loro la percezione dell'indennita' in tempi piu' brevi di quelli connessi con le esigenze della burocrazia. Percio', il legislatore lo ha recepito nell'art. 1 D.L. 30 dicembre 1979, n. 663 (convertito con modificazioni nella L. 29 febbraio 1980, n. 33), il quale stabilisce che, dal 1 gennaio 1980, il datore di lavoro deve anticipare l'indennita' di malattia (o di maternita') ai dipendenti (1 comma), comunicando all'INPS "nella denuncia contributiva.... i dati relativi alle prestazioni economiche erogate nei periodi di paga scaduti nel mese al quale si riferisce la denuncia stessa, ponendo a conguaglio l'importo complessivo di detti trattamenti con quelli dei contributi e delle altre somme dovute all'Istituto predetto secondo le disposizioni previste in materia di assegni familiari, in quanto compatibili" (2 comma); se, pero', si tratta di lavoratori agricoli - che non siano dirigenti o impiegati -, di lavoratori assunti a tempo determinato per lavori stagionali, di addetti a servizi domestici e familiari, o di lavoratori disoccupati o sospesi dal lavoro che non usufruiscono del - 34 - trattamento di integrazione salariale, l'indennita' e' pagata direttamente dall'INPS (6 comma); queste modalita', comunque, si applicano "nei casi in cui esse siano previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria" (7 comma). E' prevista la possibilita' che con decreto del Ministro del lavoro, sentito il Consiglio di amministrazione dell'INPS; in relazione a situazioni particolari e tenuto conto delle esigenze dei lavoratori e dell'organizzazione aziendale, siano stabiliti sistemi diversi di corresponsione dell'indennita' (10 comma). Una recente sentenza del Tribunale di Trento ha stabilito che la norma, secondo cui ai lavoratori sospesi dal lavoro che non usufruiscono del trattamento della Cassa Integrazione Guadagni l'indennita' di malattia (o di maternita') dev'essere pagata direttamente dall'INPS e non anticipata dal datore di lavoro, si riferisce ai soli lavoratori che, in assoluto, non usufruiscono del detto trattamento e non anche ai lavoratori per i quali esso, di cui gia' usufruivano, viene sospeso per essere sostituito dalla corresponsione dell'indennita' di malattia. In tal caso, quindi, opera il principio generale che prevede l'anticipazione dell'indennita' da parte del datore di lavoro (92). Per quanto riguarda la posizione giuridica che va attribuita al datore di lavoro in questa, solo apparentemente semplice, vicenda, sembrerebbe che esso sia non gia' l'obbligato diretto alla corresponsione dell'indennita' nei confronti del lavoratore, ma solo un "adiectus solutionis causa", cioe' un semplice incaricato del pagamento, proprio come in materia di assegni familiari. Le prime sentenze di merito, pero', qualificano il datore di lavoro come debitore diretto, legittimato passivo all'azione giudiziale di condanna da parte del lavoratore (93). 13. Termine per il pagamento. - Quanto al termine per il pagamento dell'indennita' in favore del lavoratore, la disciplina attuale non e' unitaria, ma differenziata a seconda che si tratti di lavoratori a cui la prestazione deve essere anticipata dal datore di lavoro, o di lavoratori a cui va liquidata direttamente dall'INPS. Per i primi il D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, stabilisce che, durante la malattia, il datore di lavoro deve corrispondere al dipendente anticipazioni sull'indennita' "a - 35 - norma dei contratti collettivi e, in ogni caso, non inferiori al 50 per cento della retribuzione del mese precedente"; provvedera' al conguaglio "all'atto della corresponsione della retribuzione per il periodo di paga durante il quale il lavoratore ha ripreso l'attivita' lavorativa" (art. 1, 1 comma). Il datore di lavoro che non provveda nei termini all'erogazione dell'indennita' "e' punito con un'ammenda di L. 50.000 per ciascun dipendente a cui si riferisce l'infrazione" (art. 1, 12 comma). Per effetto della recente legge sulla depenalizzazione, al posto di "ammenda" si deve leggere "sanzione amministrativa" (v. art. 32 L. 24 novembre 1981, n. 689). Per i lavoratori ai quali l'indennita' deve essere corrisposta direttamente dall'INPS, valgono tuttora le vecchie disposizioni concernenti l'INAM: cioe', attraverso il rinvio formale operato dal 4 comma dell'art. 6 L. 11 gennaio 1943, n. 138, trova applicazione l'art. 18 c.c. naz. 3 gennaio 1939, in forza del quale "l'indennita' di malattia viene pagata settimanalmente in via posticipata". In altri termini, deve essere corrisposta in piu' soluzioni, riferite ciascuna a una settimana di malattia e con scadenza nel primo giorno successivo a quello finale della settimana (94). Secondo il Pretore di Trani, invece, e' da dubitare che la norma sopra richiamata viga tuttora: comunque, essa imporrebbe all'Ente erogatore dell'indennita' soltanto un dovere di buona e corretta amministrazione, a cui attenersi per quanto possibile, e non un preciso obbligo giuridico (95). Stabilire quando matura il diritto del lavoratore all'indennita' di malattia, serve per fissare la data di decorrenza degli interessi (ove non si ritenga che decorrano dalla domanda giudiziale) (96) e quella di decorrenza del termine di prescrizione estintiva. 14. Cessazione del diritto; protezione e copertura assicurativa; limite temporale. - Anche della cessazione del diritto all'indennita' di malattia si puo' parlare, come per la sua insorgenza, in due sensi diversi: in quello di venir meno della posizione soggettiva attiva che consentiva al lavoratore di pretendere l'indennita' per le malattie che, eventualmente, lo avrebbero colpito in futuro, e nel senso di venire meno della possibilita' di pretendere la prestazione pur essendovi in atto una infermita' invalidante. - 36 - Nel primo senso, la cessazione del diritto si verifica per il venire meno, anche in via soltanto temporanea, dell'attivita' lavorativa retribuita: licenziamento, dimissioni o sospensione. A numerose vertenze legali ha dato luogo la fattispecie del lavoratore posto in trattamento di integrazione salariale senza alcuna prestazione di attivita' lavorativa ("a zero ore"), sostenendosi, "hinc", che non ricorra un'ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro e, quindi, permanga integro il diritto alle prestazioni in caso di malattia (97); "inde" la tesi opposta (98). Non e' facile spiegarsi come sia possibile che non ricorra un'ipotesi di sospensione, dal momento che sono sospese le obbligazioni fondamentali che dal contratto di lavoro derivano alle due parti: cioe', quella del lavoratore di prestare l'attivita' lavorativa, e quella del datore di lavoro di corrispondergli la retribuzione. Per i lavoratori agricoli, la perdita del diritto alla prestazione di malattia consegue alla cancellazione dagli elenchi, allo scadere del periodo di validita' degli stessi (art. 4, 3 comma, D. Lgs. Lgt. 9 aprile 1946, n. 212) o al rilascio in via di urgenza, da parte dello SCAU, di un certificato comprovante la perdita dei requisiti per l'iscrizione (art. cit., 5 comma). Con la cessazione o sospensione del rapporto di lavoro il diritto all'assistenza di malattia non viene meno subito, ma dura ancora per un certo periodo detto di "protezione" o "copertura assicurativa". Esso e' previsto dagli artt. 7 e 30 c.c. naz. 3 gennaio 1939, per effetto dei quali il diritto all'indennita' di malattia si protrae per due mesi oltre la data di cessazione o di inizio della sospensione del rapporto di lavoro. Il principio e' stato recepito dall'art. 2, 2 comma, "Reg. prestaz. econ.", il quale, pero', anziche' di due mesi, parla di 60 giorni; e, siccome non sempre due mesi consecutivi corrispondono a 60 giorni, nei casi di contrasto ci sembra che debba prevalere la disciplina del c.c., essendo il "Reg. prestaz. econ." un atto interno dell'INAM. L'Istituto di cui ci si sta occupando, gia' inapplicabile ai lavoratori dell'agricoltura, e' stato esteso a questo settore dall'art. 2, 2 comma, L. 8 agosto 1972, n. 457. Chiudiamo l'argomento in tema di "protezione" o "copertura assicurativa" facendo menzione di alcuni notevoli principi enunciati dalla giurisprudenza: - trattandosi di un istituto che ha carattere eccezionale, esso va inteso restrittivamente, nel senso che, se a un - 37 - periodo di sospensione (ad es., per integrazione salariale) segue la cessazione del rapporto di lavoro, il diritto perdura comunque per due soli mesi dopo l'ultima giornata lavorativa: non e' pensabile che, una volta sopravvenuta la cessazione, da essa decorrano altri due mesi di "protezione" o "copertura assicurativa" (99); - al lavoratore iscritto negli elenchi nominativi degli agricoli che si occupi temporaneamente nell'industria, non si applica la copertura assicurativa prevista per quest'ultimo settore, giacche', immediatamente dopo la cessazione dell'occupazione temporanea, si riattiva il diritto all'assistenza connesso all'iscrizione negli elenchi nominativi dell'agricoltura (100); - la copertura assicurativa non si applica al pensionato, il quale, dal giorno successivo alla cessazione del lavoro, non puo' essere piu' assistito come lavoratore e, quindi, ha diritto alle sole prestazioni di carattere sanitario (101). Nel caso, pero', del titolare di pensione che assuma un nuovo lavoro, dalla cessazione o sospensione di questo scatta la copertura assicurativa connessa alla qualita' di lavoratore: quindi, fino all'esaurimento del periodo di copertura spetta anche l'indennita' di malattia (102). La cessazione del diritto all'indennita' nel senso di venir meno della possibilita' di pretendere la prestazione pur essendovi in atto una malattia invalidante, si verifica per il conseguimento del limite temporale massimo, che, originariamente stabilito in 150 giorni per ogni anno solare (combinato disposto dell'art. 6, 4 comma, L. 11 gennaio 1943, n. 138, e dell'art. 14, 1 comma, c.c. naz. 3 gennaio 1939), e' stato poi esteso in sede di "piccola riforma" a 180 giorni (art. 2, 3 comma, "Reg. prestaz. econ."). Peraltro, non appare dubbio che questo limite temporale sopravvive alla recente riforma, che ha esteso il diritto all'assistenza all'intero anno solare unicamente per le prestazioni di carattere sanitario (v. art. 2 L. 23 dicmebre 1978, n. 833). La giurisprudenza prevalente ha stabilito piu' volte che il limite di 180 giorni va inteso come arco di tempo entro il quale, durante l'anno solare, si ha diritto all'indennita' di malattia e non gia' nel senso di numero di assegni giornalieri spettanti. Quindi, esaurito l'arco dei 180 giorni, il lavoratore non e' piu' legittimato a pretendere l'indennita' - 38 - di malattia, pur non avendo ancora raggiunto il numero di 180 assegni giornalieri effettivi (103); e non importa che la malattia continui oltre questo limite temporale e continui l'erogazione delle prestazioni di carattere sanitario (104). Non difettano, pero', decisioni che giungono al risultato di attribuire ai lavoratori il diritto a 180 giornate effettive di indennita', o sotto il profilo che essa spetti per tutti i giorni di erogazione dell'assistenza sanitaria, anche se festivi (105), o sotto il profilo che continui a spettare, quanto meno, nei casi in cui la malattia si protragga oltre il 180 giorno (106). Per il computo del periodo massimo di 180 giorni vigono anche altri principi sui quali ci si deve soffermare. In caso di malattia a cavallo di due anni solari, i giorni indennizzati, ai fini del computo del periodo massimo debbono essere imputati ai rispettivi esercizi finanziari (c.c. naz. 3 gennaio 1939, art. 14, 2 comma). Se, pero', il lavoratore, per malattie a cavallo tra un anno e il successivo, abbia conseguito l'indennita' continuativamente per il periodo massimo previsto, non gli potra' essere corrisposta ulteriore indennita' se non sia trascorso un periodo di ripresa dell'attivita' lavorativa: a norma dell'art. 14, 3 comma, c.c. naz. 3 gennaio 1939, precisamente, bisogna che tra la guarigione e la nuova malattia siano trascorsi almeno 75 giorni in almeno 15 dei quali l'assistito abbia prestato attivita' lavorativa; sennonche' l'INAM, con un suo provvedimento interno certamente privo di qualsiasi efficacia normativa (107), stabili' che fosse sufficiente la ripresa del lavoro anche per un tempo minimo (magari per un solo giorno). Con un altro provvedimento interno, altrettanto privo di efficacia normativa, l'INAM stabili' che, per il computo di 180 giorni, non si dovesse tener conto delle giornate di assistenza per le quali l'istituto avesse esperito utilmente contro il terzo responsabile l'azione surrogatoria assicurativa ex art. 1916 cod. civ.. Non e' facile capire di diritto positivo. Con l'entrata in vigore della L. 30 dicembre 1971, n. 1204, a tutela delle lavoratrici madri, non e' piu' chiaro se, ai fini del computo dei 180 giorni, si debba continuare a non - 39 - tener conto delle malattie connesse con lo stato di gravidanza. Nell'art. 17 L. 26 agosto 1950, n. 860, c'era una norma molto chiara la quale stabiliva che "i periodi di malattia determinata da gravidanza e puerperio non sono computabili agli effetti della durata prevista da leggi, da regolamenti o da contratti per il trattamento normale di malattia". La nuova L. 30 dicembre 1971, n. 1204, nulla dice al riguardo, ma l'art. 33 dichiara abrogate le disposizioni della precedente normativa "in contrasto con le norme della presente legge" (quindi, non tutte le disposizioni precedenti): e appare chiaro che la norma sopra riportata, se non era in contrasto con alcun'altra norma della L. n. 860 del 1950, non lo e' nemmeno con le disposizioni della L. n. 1204 del 1971. Sennonche', l'art. 20 del regolamento per la sua attuazione, approvato con DPR 26 novembre 1976, n. 1026, dichiara non computabili, "agli effetti della durata prevista....per il trattamento normale di malattia, i periodi di assistenza sanitaria per malattia determinata da gravidanza": e la specificazione di assistenza "sanitaria" dovrebbe avere una portata limitativa. Ma si poteva con un regolamento esecutivo modificare restrittivamente la portata di una norma primaria? Non e' pensabile, in base ai principi sulla gerarchia delle fonti. La compatibilita' con i principi della Costituzione della normativa in tema di limitazioni temporali del diritto all'assistenza di malattia, e' stata sottoposta alla Corte Costituzione (108), che, pero', ha dichiarato la questione manifestamente infondata con una sbrigativa ordinanza che si limita a richiamare precedenti pronunce nel senso che la L. 11 gennaio 1943, n. 138, non ha recepito i contratti collettivi di lavoro (109). 15. Prescrizione estintiva. - Al diritto all'indennita' e' applicabile la prescrizione annuale prevista, per le prestazioni di malattia in genere, dall'art. 6 ult. cpv., L. 11 gennaio 1943, n. 138 (110). E non ci dovrebbe essere dubbio che questa prescrizione breve vale anche nei casi in cui l'indennita' e' anticipata per legge dal datore di lavoro, giacche' esso la anticipa sempre per conto dell'INPS, che e' l'ente al quale la prestazione fa carico in definitiva. Come per molte norme limitative dei diritti dei lavoratori, anche per quella sopra citata si e' provato a sollevare questione di costituzionalita' per preteso contrasto con l'art. 38, 2 comma, Cost.; ma bene e' stata ritenuta la questione - 40 - manifestamente infondata, sotto il profilo che l'art. 6 L. n. 138 del 1943 da' al lavoratore tempo piu' che sufficiente per far valere il suo diritto e, quindi, attua e non elude il precetto costituzionale (111). Per quanto riguarda la decorrenza, e' da tener presente il principio generale secondo cui "la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto puo' essere fatto valere" (cod. civ. art. 2935): quindi, l'anno decorre dal primo giorno (incluso) nel quale il lavoratore puo' pretendere il pagamento dell'indennita'. Dati i collegamenti con la questione del termine per il pagamento dell'indennita' da parte dell'Istituto, anche la disciplina della decorrenza della prescrizione e' differenziata a seconda che si tratti di lavoratori a cui la prestazione deve essere anticipata dal datore di lavoro, o di lavoratori a cui va liquidata direttamente dall'INPS. Per i primi, dal giorno in cui, a norma dei contratti collettivi, si possono pretendere anticipazioni durante la malattia, decorre la prescrizione del diritto alle singole anticipazioni (e qui si possono avere differenziazioni ulteriori per le varie categorie, se i vari contratti collettivi procedono ciascuno per conto suo nel fissare i termini per le anticipazioni); dal giorno in cui il lavoratore puo' pretendere la retribuzione per il periodo di paga durante il quale ha ripreso l'attivita' lavorativa, decorre la prescrizione del diritto al conguaglio. Per i lavoratori ai quali l'indennita' deve essere corrisposta direttamente dall'INPS, si precrive il diritto alle singole rate settimanali con decorrenza dell'anno dal giorno successivo a quello finale di ogni settimana (112). Nel periodo in cui alcune ditte anticipavano l'indennita' per conto dell'INAM in regime convenzionale, sorse il problema circa il termine di prescrizione applicabile e la decorrenza, quando la ditta, dopo aver provveduto a pagare l'indennita', si trovava di fronte a una contestazione sollevata dall'Istituto e recuperava la somma anticipata al proprio dipendente o lo avvertiva che avrebbe proceduto al suo recupero. Un caso del genere fu risolto dal Pretore di Taranto nel senso che alla prescrizione breve non si sostituiva quella ordinaria decennale: rimaneva applicabile la prescrizione annuale, con decorrenza, pero', dal giorno in cui il datore di lavoro aveva comunicato al dipendente il proprio intendimento di recuperare la somma anticipata (113). Non c'e' motivo per escludere che questa soluzione sia pplicabile anche al regime - 41 - legale di anticipazione da parte dei datori di lavoro, conseguente al D.L. 30 dicembre 1979, n. 663. Quanto all'interruzione della prescrizione, in materia di indennita' di malattia c'e' da dire, di particolare, che essa e' operata ad ogni effetto anche da richieste scritte inoltrate per il lavoratore da un ente di patronato (114), e che, in caso di ricorso amministrativo precontenzioso, l'effetto interruttivo e' istantaneo, come se si trattasse di una comune richiesta scritta di pagamento dell'indennita': con la conseguenza che il termine annuale di prescrizione ricomincia a decorrere dal giorno successivo a quello di presentazione del ricorso all'Istituto e non rimane sospeso per tutto il tempo della sua pendenza (115). Come, infatti, vedremo meglio "infra", e' sostenibile che nella nostra materia il ricorso amministrativo precontenzioso e' facoltativo, cioe' l'assistito puo' adire le vie legali senza aver proposto ricorso amministrativo o, dopo averlo proposto, senza attenderne l'esito. Appare utile chiudere l'argomento trattando della prescrizione applicabile nei rapporti fra datore di lavoro e Istituto: si tratta di stabilire entro quanto tempo il datore di lavoro che, in applicazione dell'art. 1 D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, ha anticipato l'indennita' al dipendente, deve chiedere all'Istituto il rimborso del "tantumdem" per non trovarsi di fronte a una fondata eccezione di prescrizione. Non sembra che sia applicabile la stessa prescrizione annuale di cui all'art. 6 ult. cpv. L. 11 gennaio 1943, n. 138, ponendosi questa come norma eccezionale rispetto all'art. 2946 cod. civ. e non essendo, percio', suscettibile di applicazione analogica. E siccome essa riguarda l'azione del lavoratore contro l'Istituto per il conseguimento della prestazione, e' da escludere che si adatti all'azione - ben diversa - del datore di lavoro, che ha anticipato la prestazione, contro l'Istituto per il recupero del relativo ammontare: trattasi di una comune azione di rimborso, a cui appare applicabile la prescrizione ordinaria decennale. INDENNITA' DI MATERNITA'. 1. Fonti. - La fonte normativa principale in materia di indennita' di maternita' e' costituita dalla L. 30 dicembre 1971, n. 1204 ("tutela delle lavoratrici madri"), integrata dal relativo regolamento di esecuzione approvato con DPR 25 - 42 - novembre 1976, n. 1026. Come si e' gia' avuto modo di far presente, l'entrata in vigore della L. n. 1204 cit. non ha comportato l'abrogazione della normativa precedente, giacche' l'art. 33 dichiara abrogate le sole disposizioni " in contrasto con le nrome della presente legge" (116): quindi, vigono tuttora alcune disposiizoni della L. 26 agosto 1950, n. 860, e successive modificazioni, pur risultando tutt'altro che agevole identificarle. Alcune norme in materia sono anche contenute in fonti diverse, come il DPR 31 dicembre 1971, n. 1403, per le addette ai servizi domestici e familiari, la L. 18 dicembre 1973, n. 877, per le lavoratrici a domicilio, e la L. 9 dicembre 1977, n. 903 ("parita' di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro"). E', poi, da tener presente che la L. n. 1204 del 1971 - come, del resto, faceva la L. n. 860 del 1950 - a proposito dell'indennita' di maternita' opera un rinvio alle disposizioni che concernono l'indennita' di malattia, stabilendo testualmente, al 3 comma dell'art. 15, che "le indennita' di cui ai commi precedenti sono corrisposte con gli stessi criteri previsti per la erogazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie" (117). Attraverso questo strumento, per quanto non previsto espressamente dalle leggi che si riferiscono alle lavoratrici madri, le prestazioni di maternita' sono disciplinate dalle leggi che concernono l'assicurazione di malattia e, in particolare, dalla L. 11 gennaio 1943, n. 138, e dai contratti collettivi corporativi, che fanno parte integrante di essa ai sensi dell'art. 6, 4 comma. La norma di rinvio sopra riportata si presta a qualche dubbio, in quanto l'espressione "con gli stessi criteri" non e' proprio chiaro se si riferisca alle sole disposizioni in materia di assicurazione di malattia che riguardano le modalita' pratiche per l'erogazione dell'indennita', o comprenda anche le disposizioni attributive del diritto alla prestazione medesima. La giurisprudenza, al riguardo, e' oscillante, in quanto ora decide nel primo senso (118), ora stabilisce che, siccome l'assicurazione di maternita' e' una "species" o una forma particolare dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie, il rinvio riguarda, salve espresse disposizioni particolari, anche gli stessi presupposti per l'esistenza del diritto all'indennita' (119). In effetti, non e' facilmente contestabile che la L. n. 138 del 1943, pur parlando solitamente di assistenza dei lavoratori e dei loro familiari in caso di "malattia", si riferisce anche all'assistenza in favore delle lavoratrici - 43 - gestanti e puerpere: basti considerare che fra le assistenze da erogarsi dall'INAM prevedeva l'assistenza "ostetrica" (art. 6, 1 comma, n. 5). Del resto, alcune delle stesse sentenze che parlano di disciplina legislativa unitaria dal punto di vista della procedura volta a conseguire l'indennita', poi giungono a risultati coerenti con il principio opposto, come quando subordinano il diritto all'indennita' di maternita' della lavoratrice agricola all'iscrizione negli elenchi nominativi (120), o quando assoggettano tale diritto alla prescrizione annuale (121). Insomma, benche' la gravidanza e puerperio sia un fatto generalmente fisiologico, laddove la malattia e' un fatto sempre patologico, si puo' ben dire che, ai fini assicurativi, trattasi di due diversi aspetti di un unico evento assicurato. Questo, come si vedra' man mano che se ne sara' presentata l'occasione, facilita molto l'esame della materia. 2. Aventi diritto. - La cerchia delle lavoratrici aventi diritto all'indennita' di maternita', e' piu' ampia di quelle a cui e' corrisposta l'indennita' di malattia. Vi ha diritto, infatti, la generalita' delle lavoratrici che prestano la loro opera alle dipendenze di datori di lavoro privati, comprese le apprendiste, le impiegate dell'industria, le mezzadre, le colone (senza limitazione alcuna alle piccole colone), le addette ai servizi domestici e familiari e le dipendenti da societa' cooperative ancorche' socie delle stesse. Alle dipendenti da datori di lavoro privati sono da assimilare le dipendenti dalle Amministrazioni statali con contratto di diritto privato. Entro certi limiti e a certe condizioni, il diritto all'indennita' di maternita' e' estensibile alle lavoratrici madri adottive, o affidatarie di minori, e al padre; ma di cio' si parlera' meglio piu' in la', in un paragrafo apposito. Per ora, e' sufficiente questo accenno. 3. Insorgenza del diritto. - Anche il diritto all'indennita' di maternita', come quello all'indennita' di malattia, puo' essere inteso in due sensi diversi: in quello di posizione soggettiva attiva che consente alla lavoratrice di pretendere l'indennita' in caso di gravidanza e puerperio che eventualmente si verifichi in futuro, e nel senso di possibilita' di pretendere l'erogazione in concreto della prestazione per una gravidanza in atto. - 44 - Inteso il diritto nel primo senso, la sua insorgenza non dovrebbe far sorgere problemi particolari rispetto a quel che avviene in materia di indennita' di malattia. Sennonche', la giurisprudenza continua ad arrovellarsi sull'insorgenza del diritto all'indennita' di maternita' in favore delle lavoratrici agricole, controvertendosi se valga anche qui, oppure no, l'eccezione al principio dell'automatismo derivante dall'art. 4 D. Lgs. Lgt. 9 aprile 1946, n. 212, in forza del quale l'acquisto del diritto alle prestazioni dell'assicurazione di malattia e' subordinato all'iscrizione negli elenchi nominativi o al rilascio di un certificato provvisorio comprovante il possesso dei requisiti per l'iscrizione. La questione era stata dibattuta gia' sotto l'impero della L. 26 agosto 1950, n. 860, che nulla diceva al riguardo, salvo il generico rinvio, di cui si e' detto, alla disciplina concernente l'indennita' di malattia, mentre il requisito dell'iscrizione negli elenchi nominativi o del rilascio del certificato provvisorio era previsto dall'art. 31 del regolamento di attuazione approvato con DPR 21 maggio 1953, n. 568. Non trattandosi di norma primaria, essa lasciava aperta la questione se, ai fini del diritto all'indennita' di maternita' l'iscrizione negli elenchi e il rilascio del certificato provvisorio avessero efficacia costitutiva, come decisero alcune sentenze (122), o soltanto efficacia dichiarativa, come decisero altre (123). Con l'entrata in vigore della L. 30 dicembre 1971, n. 1204, di diverso c'e' solo questo: che l'art. 15, al 3 comma, contiene una norma nuova, in forza della quale le indennita' previste in favore delle lavoratrici gestanti e puerpere "non sono subordinate a particolari requisiti contributivi o di anzianita' assicurativa". Quanto al resto, la legge - al pari della precedente - nulla dice; mentre il requisito dell'iscrizione negli elenchi nominativi o del rilascio del certificato provvisorio e' previsto, all'art. 13, dal regolamento di esecuzione approvato con DRP 26 novembre 1976, n. 1026. La nuova norma sopra riportata non appare influente sulla risoluzione nell'uno o nell'altro senso della questione in esame: essa ha inteso soltanto derogare ad ogni precedente disposizione che subordinasse l'acquisto del diritto alle prestazioni a un periodo minimo di anzianita' assicurativa e contributiva e, quindi, a proposito della questione in esame, sarebbe innovativa unicamente se per le lavoratrici agricole - 45 - si richiedesse non soltanto l'iscrizione negli elenchi o il rilascio del certificato provvisorio, ma anche il decorso di un periodo minimo dall'avvenuta iscrizione negli elenchi o dall'avvenuto rilascio del certificato. La questione, percio', dovrebbe continuare a porsi negli stessi termini di prima. Quanto all'orientamento della giurisprudenza per il periodo successivo all'entrata in vigore della nuova legge, si puo' dire che prevale la tesi dell'efficacia costitutiva, accolta dalla Cassazione (124), benche' non manchino decisioni di merito secondo cui l'efficacia non soltanto sarebbe dichiarativa, ma retroagirebbe all'inizio della prestazione del lavoro (125). Nulla di particolare c'e' da dire, rispetto a quel che si e' visto a proposito dell'indennita' di malattia, per quanto riguarda la decorrenza, ai fini del diritto delle agricole all'indennita' di maternita', dell'iscrizione negli elenchi o del rilascio del certificato provvisorio. Un'eccezione al principio dell'automatismo e' espressamente prevista dalla legge per le addette a servizi domestici e familiari o a servizi di riassetto e pulizia di locali, per cui l'art. 4 DPR 31 dicembre 1971, n. 1403, richiede che, all'inizio dell'interdizione obbligatoria, risultino versati o, quanto meno, dovuti 52 contributi settimanali nei 24 mesi precedenti, oppure 26 contributi settimanali nei 12 mesi precedenti. Quanto all'acquisto del diritto all'indennita' di cui ci si sta occupando, nel senso di possibilita' di pretendere l'erogazione in concreto della prestazione per una maternita' in atto, e' da tener presente che il rischio protetto dalla legge consiste nell'incapacita' lavorativa prevista con presunzione "iuris et de iure" per tutto il periodo per il quale, prima e dopo il parto, e' stabilita l'astensione obbligatoria dal lavoro: quindi, le condizioni per l'attuazione del diritto debbono sussistere al momento iniziale del suddetto periodo (126). Al riguardo, l'art. 17 L. n. 1204 del 1971 non richiede altro, in linea di principio, se non che la gestante abbia in atto un rapporto di lavoro con la corresponsione del relativo salario. La norma e' implicita nei vari commi dell'articolo, mentre nella legislazione precedente c'era una enunciazione espressa nel medesimo senso, contenuta nell'art. 26 reg. di esecuzione approvato con DPR 21 maggio - 46 - 1953, n. 568, che si ricollegava all'art. 17 L. 26 agosto 1950, n. 860. Anche per l'acquisto del diritto all'indennita' di maternita' e' sostenibile che, all'inizio del periodo di interdizione obbligatoria, la gestante non solo deve essere titolare del rapporto di lavoro, ma deve anche prestare effettivamente, sia pure da un tempo minimo, l'attivita' lavorativa retribuita. Anche a voler prescindere dal rinvio che l'art. 15, 3 comma, L. n. 1204 del 1971 fa ai criteri che riguardano l'indennita' di malattia, si puo' argomentare dal 2 comma dell'art. 17 L. cit.: esso, prevedendo eccezionalmente un periodo di protezione o copertura assicurativa per le lavoratrici che siano, da non oltre sessanta giorni, sospese o assenti dal lavoro senza retribuzione ovvero disoccupate, presuppone la regola nel senso della spettanza della prestazione in favore delle sole gestanti che si trovino in costanza di attivita' lavorativa retribuita. 4. Condizioni per l'acquisto del diritto. Rinvio per l'assenza facoltativa. - Le condizioni per l'acquisto del diritto all'indennita' di maternita' vanno esaminate distintamente per il periodo di interdizione obbligatoria e per quello di assenza facoltativa. Occorre occuparci subito di quelle concernenti il primo periodo, mentre per le altre conviene rinviare al paragrafo sull'assenza facoltativa. Anteriormente all'inizio del periodo di interdizione obbligatoria, la lavoratrice gestante deve consegnare all'Istituto - ed anche al datore di lavoro - il certificato medico di gravidanza (art. 28 L. n. 1204), redatto secondo le prescrizioni di cui all'art. 14 del reg. di esecuzione. L'elemento fondamentale e' la data presunta del parto, che "fa stato nonostante qualsiasi errore di previsione" (art. 28 cit.). Per la presentazione del certificato medico di gravidanza non e' previsto un termine a pena di decadenza: sicche', in qualunque tempo esso sia presentato, non si puo' negare, solo per questo, alla lavoratrice l'indennita' di maternita'. Condizione imprescindibile e' invece, in via di principio, che all'inizio del periodo di interdizione obbligatoria la gestante abbia in atto un rapporto di lavoro, con la percezione del relativo salario. E trattasi di condizione - 47 - necessaria e sufficiente, giacche' la risoluzione del rapporto di lavoro che si verifichi dopo l'inizio del periodo di interdizione obbligatoria, non incide sul diritto all'indennita' per l'intero periodo, salvo il caso di risoluzione per colpa grave da parte della lavoratrice (art. 17, 1 comma, L. n. 1204). Non si puo' riconoscere il diritto all'indennita' alla lavoratrice che, disoccupata da oltre 60 giorni all'inizio del periodo di interdizione obbligatoria, abbia instaurato un rapporto di lavoro nel corso di tale periodo; tuttavia, qualche sentenza di merito ha deciso in senso difforme (127). Per le lavoratrici agricole, all'inizio del suddetto periodo, occorre l'iscrizione negli elenchi nominativi o il certificato provvisorio: sembrerebbe ovvio che la lavoratrice non possa, ai fini dell'acquisizione del diritto, completare il numero minimo di 51 giornate nel corso del periodo di interdizione obbligatoria; tuttavia, alcune sentenze di merito hanno deciso in senso difforme (128), in contrasto con gli insegnameneti della Corte di Cassazione, secondo cui "per il settore agricolo... perche' possa parlarsi di soggetto assicurato, come tale soltanto avente diritto alla prestazione assicurativa, e' necessario che la lavotraice abbia compiuto un minimo di attivita' lavorativa, quanto meno di 51 giornate, e per conseguenza risulti iscritta negli appositi elenchi agricoli" (129). Sotto l'impero della L. n. 860 del 1950 si presento' il caso di una lavoratrice che, stando alla data presunta del parto indicata nel certificato medico di gravidanza, non avrebbe avuto diritto all'indennita' di maternita' perche' assunta al lavoro dopo l'inizio dell'interdizione obbligatoria, laddove la data effettiva del parto risulto' posteriore di ben 41 giorni rispetto a quella presunta e, senza questo scarto, l'instaurazione del rapporto di lavoro sarebbe risultata anteriore all'inizio dell'interdizione obbligatoria. L'INAM, rifacendosi all'art. 31 L. n. 860, secondo cui l'individuazione della data presunta del parto contenuta nel certificato medico di gravidanza fa stato nonostante qualsiasi errore di previsione, escluse il diritto all'indennita'; ma il giudizio promosso dal coniuge superstite della lavoratrice si concluse in tutti e tre i gradi in senso sfavorevole all'INAM. E' da richiamare il principio enunciato dalla Cassazione, secondo cui la norma ha la portata pratica unicamente "di evitare contestazioni sul periodo di assenza obbligatoria dal lavoro cui corrisponde la tutela assicurativa", mentre non e' "concepibile che si estenda ad - 48 - eliminare il fatto accertato e incontroverso che la lavoratrice sia stata effettivamente assunta al lavoro in un determinato giorno (antecedente al sesto mese di gravidanza)... e cioe' prima che si verificasse il rischio coperto dall'assicurazione" (130). La questione non ha perduto attualita', giacche' anche per la L. n. 1204 del 1971 la data presunta del parto "fa stato, nonostante qualsiasi errore di previsione" (art. 28). L'esigenza, per il diritto all'indennita', che la lavoratrice abbia in atto un rapporto di lavoro retribuito implica che essa, in conseguenza della gravidanza e puerperio, debba sospendere, per il periodo di astensione obbligatoria, l'attivita' lavorativa e perdere la relativa retribuzione. Ne discendono certe conseguenze. Cosi', qualora, ancorche' non fosse sopravvenuta la gravidanza, la lavoratrice, per la posizione in cui si trovava, non avrebbe dovuto e inteso prestare un lavoro e non avrebbe percepito un salario, non le puo' essere riconosciuto il diritto all'indennita'. La questione si e' posta per la lavoratrice che, durante il periodo di interdizione obbligatoria, sia in aspettativa senza retribuzione perche' chiamata a ricoprire cariche sindacali, ai sensi dell'art. 31 L. 20 maggio 1970, n. 300; e bene e' stato escluso il diritto all'indennita' (131). Allo stesso risultato si e' pervenuti nella fattispecie della gestante addetta a lavorazioni stagionali per la quale l'interdizione obbligatoria ricada in periodo di sospensione contrattuale per chiusura stagionale dell'azienda (132). Altra conseguenza del principio sopra enunciato: qualora la lavoratrice, pur potendo usufruire dell'astensione obbligatoria - com'e' suo diritto, ma non obbligo -, abbia continuato a prestare attivita' lavorativa retribuita, non le sara' corrisposta l'indennita' per le giornate in cui essa ha lavorato, non essendo ovviamente ammesso il cumulo fra indennita' di maternita' e retribuzione (133) (in questo senso, del resto, si ha una disposizione esplicita, contenuta nell'art. 22, 1 comma, reg. esec.). 5. Periodo indennizzabile: astensione obbligatoria e astensione anticipata. - Il periodo per il quale e' dovuta alla lavoratrice l'indennita' di maternita' e' predeterminato per legge (art. 15 L. n. 1204 del 1971) e coincide con quello di divieto, per la ditta, di adibire al lavoro la dipendente gestante e puerpera (art. 4 L. cit.), cioe': a) "i due mesi - 49 - precedenti la data presunta del parto"; b) in caso di data presunta anteriore a quella in cui l'evento abbia effettivamente avuto luogo, il periodo intercorrente fra le due date; c) "i tre mesi dopo il parto". Nei casi indicati dall'art. 5, l'Ispettorato del lavoro puo' disporre ad ogni effetto, sulla base di accertamento medico, l'inizio anticipato dell'interdizione obbligatoria: cioe', se la gestazione sia caratterizzata da gravi complicanze o possa aggravare preesistenti forme morbose; se le condizioni di lavoro o ambientali appaiano pregiudizievoli alla salute della gestante o della creatura; se la gestante sia addetta al trasporto e al sollevamento di pesi o a lavori pericolosi, faticosi e insalubri e non possa essere spostata ad altre mansioni. La determinazione del periodo di astensione obbligatoria, cioe' la fissazione del giorno in cui ha inizio e di quello in cui termina, sembrerebbe un'operazione di estrema semplicita'; eppure non mancano dei dubbi al riguardo: basti dire che l'INAM sosteneva che il giorno effettivo del parto fosse il primo (incluso) del periodo di astensione obbligatoria "post partum". E quel che e' piu' strano e' che questa tesi fu accolta da una, sia pure isolata, sentenza di merito (134). La Cassazione, rettamente, ha stabilito che il suddetto periodo decorre dal giorno successivo a quello del parto (135); ma non e' stata chiara riguardo al periodo "ante partum", osservando testualmente che la doglianza mossa dall'INAM contro la sentenza di appello "e' priva di fondamento, essendo il prodotto di una inesatta premessa: quella, cioe', che il giorno del parto non sia compreso, quale termine finale, nel periodo di cui alla lettera a) o - "secundum quod plerumque accidit" - nel periodo di cui alla lettera b) dell'art. 4.... l'impugnata sentenza ha con corretto procedimento ermeneutico, considerato tutti e tre i periodi di astensione obbligatoria legislativamente imposti, ed e' pervenuta alla conclusione che il giorno del parto non poteva essere incluso se non nel primo periodo, ove coincidente con la data presunta, ovvero nel secondo periodo, in quanto coincidente con la data effettiva" (136). Ove si voglia dire - come sembra - che, se la data presunta coincide con quella in cui il parto effettivamente ha luogo, essa e' assorbita dal periodo di interdizione "ante partum", si dovrebbe fissare l'inizio dell'interdizione obbligatoria contando a ritroso due mesi esatti a partire dal giono (incluso) previsto per il parto (137). Ma si puo' osservare che, siccome la legge parla dei "due mesi precedenti la data presunta del parto", questa data dovrebbe rimanere al di fuori del periodo di due mesi. - 50 - 6. Periodo indennizzabile: segue. Astensione facoltativa. - Trascorso il periodo di interdizione obbligatoria "post partum", la lavoratrice si puo' valere della facolta' di assentarsi dal lavoro "per un periodo, entro il primo anno di vita del bambino, di sei mesi" (art. 7 L. n. 1204), durante il quale ha diritto a un'indennita' di maternita', benche' in misura ridotta rispetto a quella relativa al periodo di interdizione obbligatoria. A tal fine, e' sufficiente che la lavoratrice comunichi il proprio intendimento di valersi della facolta' all'Istituto - e al datore di lavoro -, precisando il periodo dell'assenza (art. 8 reg. esec.). Condizioni per il godimento dell'assenza facoltativa sono che il rapporto di lavoro retribuito sia in atto, e non sia altrimenti sospeso, per tutto il periodo di assenza e che il bambino non soltanto sia vivo, ma non abbia superato un anno di eta'. La necessita' della prima condizione non e' pacifica, in quanto, secondo alcune sentenze, sarebbe sufficiente l'esistenza ed operativita' del rapporto di lavoro all'inizio del periodo di assenza (138). Sennonche', non ha senso la facolta' di astenersi da un'attivita' lavorativa che in nessun caso si sarebbe potuta prestare, non essendovi in atto un rapporto di lavoro: senza dire che se ne ha una conferma nel 1 comma dell'art. 17 L. n. 1204, il quale, stabilendo che l'indennita' relativa al periodo di interdizione obbligatoria spetta anche in caso di risoluzione del rapporto di lavoro che si verifichi nel corso di tale periodo, implicitamente esclude che lo stesso criterio valga per l'indennita' relativa al periodo di assenza facoltativa "post partum". In tal senso e' orientata la giurisprudenza prevalente e piu' autorevole (139). L'applicazione di questo principio alle lavoratrici agricole comporta che esse non hanno piu' diritto all'indennita' per assenza facoltativa dal giorno successivo alla loro cancellazione dagli elenchi. La L. n. 1204 del 1971 non precisa se dell'assenza facoltativa "post partum" la puerpera possa usufruire in piu' soluzioni, mentre lo escludeva espressamente l'art. 20 del regolamento di esecuzione della L. n. 860 del 1950. Era sorta questione, conseguentemente, se, sotto l'impero della nuova legge a tutela delle lavoratrici madri, il regime fosse sempre quello dell'infrazionabilita'. La giurisprudenza di merito fu - 51 - univoca nel senso della possibilita' di frazionamento (140). Quando la questione era stata sottoposta alla Corte Suprema, e' stato emanato con DPR 26 novembre 1976, n. 1026, il regolamento di esecuzione della L. n. 1204 del 1971, che all'art. 9 prevede espressamente la frazionabilita'. Tutto si riduceva, percio', a stabilire quale fosse il regime nel periodo intermedio: al riguardo, la Cassazione ha pronunciato due sentenze salomoniche con cui ha stabilito che, anche dopo l'entrata in vigore della L. n. 1204, doveva continuare ad applicarsi il regolamento di esecuzione della L. n. 860 del 1950 (quindi, infrazionabilita'); una volta emanato, pero', il nuovo regolamento (che prevede la frazionabilita'), esso si applica con decorrenza dalla data di entrata in vigore della L. n. 1204, ma limitatamente ai casi non ancora definiti (141). Va da se' - ma, forse, non e' inutile precisarlo - che, una volta che il bambino abbia compiuto un anno di eta', dal giorno successivo la madre deve riprendere il lavoro, anche se, eventualmente, non abbia completato i sei mesi di assenza facoltativa. 7. Giornate indennizzabili. - Per quanto riguarda le giornate indennizzabili comprese nei periodi di assenza dal lavoro per gravidanza e puerperio, ben poco e' da aggiungere a quel che si e' detto a proposito dell'indennita' di malattia. L'indennita' di maternita' e' dovuta fin dal primo giorno di assenza dal lavoro, non essendo prevista, a differenza che per la malattia, la cosiddetta "carenza". Avendo le due indennita' l'identica funzione di sopperire dal lavoro, neanche l'indennita' di maternita' spetta per le giornate festive. Si era provato a sostenere il contrario per le lavoratrici del settore agricolo, che ordinariamente presterebbero la loro attivita' anche nei giorni festivi (142); ma la Cassazione ha deciso in senso opposto (143). 8. Riposi per allattamento. - L'art. 10 L. 1204 del 1971 obbliga il datore di lavoro a concedere alla dipendente, durante il primo anno successivo al parto, due periodi di riposo al giorno, anche cumulabili, per accudire al bambino, o un solo riposo, in caso di giornata lavorativa di meno di sei ore (1 comma). I riposi hanno la durata di un'ora ciascuno e - 52 - danno diritto alla lavoratrice di allontanarsi dall'azienda (2 comma): ove, pero', il datore di lavoro abbia istituito nei locali dell'azienda una camera di allattamento o un asilo nido e la lavoratrice voglia usufruirne, i periodi di riposo sono di mezz'ora ciascuno e non comportano un suo diritto di allontanarsi (3 comma). Ai sensi del 2 comma dell'art. 10 L. n. 1204, i riposi per allattamento non davano diritto a indennita' di maternita' da parte dell'istituto assicuratore. Invece, la L. 9 dicembre 1977, n. 903 ("parita' di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro"), all'art. 8, ha previsto un'indennita' da corrispondersi "dall'ente assicuratore di malattia presso il quale la lavoratrice e' assicurata": quindi, per effetto del D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, dall'INPS. 9. Misura; interessi moratori; rivalutazione monetaria. - La misura in cui spetta l'indennita' di maternita' e' disciplinata in modo tutto particolare rispetto all'indennita' di malattia, e differisce a seconda che si tratti del periodio di interdizione obbligatoria, di quello di assenza facoltativa "post partum" o dei c. d. riposi per allattamento. Precisamente, per il periodo di interdizione obbligatoria e' stabilito l'80% della retribuzione (art. 15, 1 comma, L. n. 1204); per il periodo di assenza facoltativa l'indennita' spetta in misura pari al 30% (art. 15, 2 comma); invece, per i riposi per allattamento e' dovuta alla lavoratrice un importo pari alla retribuzione che le sarebbe stata corrisposta dal datore di lavoro (art. 8, 1 comma, L. 9 dicembre 1977, n. 903). Il Pretore di Bologna ritenne che l'art. 16 L. n. 1204 potesse essere in contrasto con la costituzione nella parte in cui, per il periodo di assenza facoltativa "post partum", prevede solo il 30% quale indennita' di maternita', e, pertanto, sollevo' la questione di costituzionalita' (144); ma la Corte Costituzionale e' stata di diverso avviso ed ha pronunciato una sentenza di rigetto (145). Ai fini del calcolo dell'indennita' per i periodi di interdizione obbligatoria e di assenza facoltativa, per retribuzione si intende la media aritmetica giornaliera delle somme percepite dalla lavoratrice, quale compenso per il lavoro svolto, "nel periodo di paga quadrisettimanale o mensile scaduto ed immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio l'astensione obbligatoria dal lavoro" - 53 - (art. 16, 1 comma): media da calcolare tenendo conto, per il periodo di interdizione obbligatoria, del "rateo giornaliero relativo alla gratifica natalizia o alla tredicesima mensilita' e agli altri premi o mensilita' eventualmente erogati alla lavoratrice", mentre per il periodo di assenza facoltativa non se ne dovra' tener conto (art. 16, 2 comma). La legge fa un riferimento fisso alla retribuzione relativa al periodo di paga "scaduto ed immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio l'astensione obbligatoria dal lavoro", ricalcando il disposto dell'art. 18 L. n. 860 del 1950: e cio', a differenza da quel che si e' osservato per l'indennita' di malattia alle pagg. 30 - 31. Ne e' stato dedotto che il parametro e' sempre quello, ancorche' la gestante abbia continuato a lavorare per un certo tempo dopo l'inizio del periodo di interdizione obbligatoria (146), e ancorche' si tratti di astensione facoltativa "post partum" che segua al periodo di interdizione obbligatoria dopo un intervallo di ripresa del lavoro compensato con una retribuzione superiore a quella di prima (147); ne' rileva il fatto che durante i periodi di assenza dal lavoro per gravidanza e puerperio la retribuzione possa essere aumentata e senza che si ponga una questione di legittimita' costituzionale (148). Invece, secondo il Pretore di Bologna, l'art. 16 L. n. 1204, in quanto non prevede che l'indennita' di maternita' sia commisurata agli aumenti retributivi che si possano verificare durante l'assenza dal lavoro, potrebbe essere in contrasto con gli artt. 3, 2 comma, e 37, 1 comma, Cost. (149); ma la Corte Costituzionale e' stata di avviso opposto, ritenendo che la determinazione della misura dell'indennita' e' oggetto di una tipica scelta discrezionale di politica legislativa (150). Per le lavoratrici del settore agricolo, per le quali vige il sistema della determinazione dei salari medi convenzionali con decreti del Ministro del Lavoro, e' sorto lo stesso problema della retroattivita' e del conguaglio, trattato a proposito dell'indennita' di malattia; e anche qui, salvo alcune sentenze di merito (151), la Cassazione e molti giudici di merito hanno stabilito che i decreti ministeriali, una volta emanati, retroagiscono fino all'inizio dell'anno di riferimento e, quindi, comportano un conguaglio delle somme gia' corrisposte per indennita' di maternita', da intendersi quale acconto provvisorio (152). - 54 - Anche per quanto riguarda gli interessi moratori sulle somme dovute per indennita' di maternita' e l'adeguamento delle stesse in rapporto alla svalutazione della moneta, sorgono i medesimi problemi gia' esaminati per l'indennita' di malattia. Anche a proposito dell'indennita' di maternita' si riconosce concordemente alla lavoratrice il diritto agli interessi, essendo pero' incerta la loro decorrenza (153); invece, il diritto alla rivalutazione monetaria e' escluso dalla giurisprudenza piu' autorevole (154), mentre e' riconosciuto solo da alcune sentenze di merito (155). 10. Modalita' di pagamento. - Per le modalita' di pagamento, bisogna distinguere tra l'indennita' relativa ai periodi di interdizione obbligatoria e di assenza facoltativa, da una parte, e quella relativa ai riposi per allattamento, dall'altra. Quanto alla prima, le disposizioni in vigore non fanno distinzione alcuna tra indennita' di malattia e indennita' di maternita'. Quindi, vale quanto si e' detto a proposito della prima: cioe', di regola, la corresponsione in favore della lavoratrice gestante e puerpera e' eseguita mediante anticipazione da parte del datore di lavoro, che poi mette a conguaglio il relativo importo con quelli dei contributi e delle altre somme dovute all'INPS; fanno eccezione le lavoratrici delle categorie tassativamente previste dall'art. 1, 6 comma, D.L. 30 dicembre 1979, n. 663 (quale risulta dall'art. 1 della legge di conversione 29 febbraio 1980, n. 33), alle quali l'indennita' e' corrisposta direttamente dall'Istituto. Invece, l'indennita' relativa ai riposi per allattamento e' sempre anticipata dal datore di lavoro (art. 8, 2 comma, L. 9 dicembre 1977, n. 903). 11. Termine per il pagamento. - Anche quanto al termine per il pagamento, le disposizioni in vigore non distinguono tra indennita' di malattia e indennita' di maternita'. Ci si limita, quindi, a rinviare a quanto gia' detto a proposito della prima. E' solo da precisare che, nei casi in cui l'indennita' va corrisposta direttamente dall'Istituto, appare sostenibile che, attraverso il rinvio operato dall'art. 15, 3 comma, L. n. 1204 del 1971, trovi applicazione l'art. 18 c.c. naz. 3 gennaio 1939: se e' cosi', anche l'indennita' di maternita', al pari di quella di malattia, va corrisposta dall'Istituto a rate settimanali posticipate. - 55 - 12. Cessazione del diritto; protezione o copertura assicurativa. - Come per l'indennita' di malattia, cosi' anche per l'indennita' di maternita' si puo' parlare di cessazione del diritto in due sensi diversi: in quello di venir meno della posizione soggettiva attiva in forza della quale la lavoratrice poteva pretendere l'indennita' per i casi di gravidanza e puerperio che, eventualmente, si sarebbero verificati in futuro, e nel senso di venir meno della possibilita' di pretendere la prestazione pur non essendo ancora esaurito il previsto periodo di assenza dal lavoro per gravidanza e puerperio. Nel primo senso, la cessazione del diritto si verifica per il venir meno, anche in via soltanto temporanea, dell'attivita' lavorativa retribuita: licenziamento, dimissioni o sospensione. La fattispecie della lavoratrice posta in trattamento di integrazione salariale senza alcuna prestazione di attivita' lavorativa ("a zero ore"), fa sorgere una questione identica a quella esaminata a proposito dell'indenita' di malattia, trattandosi anche qui di stabilire, ai fini della conservazione del diritto, se ricorra oppure non un'ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro. Anche a questo proposito, la giurisprudenza e' divisa, ma si puo' considerare prevalente la tesi della sussistenza della sospensione, che e' quella accolta dalla Corte Suprema (156). Per le lavoratrici agricole, se si ritiene che l'acquisto del diritto sia connesso con l'iscrizione negli elenchi nominativi o con il rilascio del certificato provvisorio da parte dello SCAU, si deve coerentemente ricollegare la perdita del diritto alla cancellazione dagli elenchi, allo scadere del periodo di validita' degli stessi o al rilascio in via di urgenza, da parte dello SCAU, di un certificato comprovante la perdita del requisiti per l'iscrizione. Anche per il diritto all'indennita' di maternita' e' previsto un periodo di protezione o copertura assicurativa, che ha una disciplina particolare rispetto a quella concernente l'indennita' di malattia. La normativa e' contenuta nell'art. 17 L. n. 1204 del 1971, il quale prevede delle eccezioni al principio secondo cui per la sussistenza del diritto occorre che, all'inizio del periodo di astensione obbligatoria, la gestante abbia in atto un rapporto di lavoro con la corresponsione della relativa retribuzione. La prima eccezione e' prevista al 2 comma, che attribuice il diritto - 56 - all'indennita' anche alla lavoratrice sospesa, assente dal lavoro senza retribuzione o disoccupata, "purche' tra l'inizio della sospensione, dell'assenza o della disoccupazione e quello di detto periodo non siano decorsi piu' di 60 giorni", al netto delle giornate di assenza dovuta a malattia o ad infortunio sul lavoro. Al 3 comma, l'eccezione viene ampliata con la previsione del diritto anche in favore della lavoratrice la quale, benche' disoccupata da oltre 60 giorni, sia in godimento dell'indennita' di disoccupazione, nel qual caso l'indennita' di maternita' assorbe quella ordinaria di disoccupazione. Altro ampliamento dell'eccezione l'art. 17 prevede al 4 comma per la lavoratrice che, oltre ad essere disoccupata da piu' di sessanta giorni, sia anche priva di indennita' di disoccupazione per avere eseguito nell'ultimo biennio lavorazioni alle dipendenze di terzi non soggette ad assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione; e le attribuice il diritto all'indennita' di maternita', a condizione che, all'inizio del periodo di interdizione obbligatoria, la risoluzione del rapporto di lavoro non risalga ad oltre 180 giorni prima e, nell'ultimo biennio anteriore al detto periodo, la lavoratrice abbia maturato ventisei contributi settimanali ai fini dell'assicurazione contro le malattie. Al 5 comma, infine, attribuisce il diritto alla lavoratrice che, all'inizio dell'astensione obbligatoria, si trovi sospesa dal lavoro da oltre sessanta giorni, pero' usufruisce del trattamento di integrazione salariale, nel qual caso prevede l'indennita' di maternita' come assorbente il trattamento della Cassa Integrazione Guadagni. Dopo questa esposizione della situazione normativa, vediamo quali questioni sorgono al riguardo in giurisprudenza e come vengono risolte. Dovrebbe essere ovvio che il fatto obiettivo, che, all'inizio del periodo di interdizione obbligatoria, la gestante sia, per qualsiasi causa, disoccupata o sospesa da oltre 60 giorni, osta al suo diritto al trattamento economico di maternita'. Eppure, una discutibile sentenza ha stabilito il diritto all'indennita' in favore di una gestante rimasta disoccupata per un fatto a lei non imputabile, quale il fallimento dell'imprenditore, e che, essendo in stato avanzato di gravidanza, non ne avrebbe potuto trovare un altro che subito dopo le desse lavoro, ricorrendo per lei il periodo di interdizione obbbligatoria (157); ed e' stato anche stabilito - 57 - il diritto all'indennita' in favore di una gestante assente dal lavoro senza retribuzione da oltre 60 giorni per sciopero e occupazione della fabbrica (158); ma, su appello dell'INAM, la sentenza e' stata riformata (159). La regola, enunciata nel 2 comma dell'art. 17 L. n. 1204 del 1971, secondo cui per il computo del termine ostativo di 60 giorni non vanno considerate le giornate di assenza dovuta a malattia o ad inforutnio sul lavoro, sembrerebbe ovvio che si debba intendere in senso conforme al criterio fissato dalla giurisprudenza in relazione alla regola uguale, anche se formulata meno chiaramente, di cui all'art. 26, cpv. reg. per l'attuazione della L. n. 860 del 1950: cioe', dalle giornate complessive di assenza anteriori all'inizio dell'interdizione obbligatoria si enucleano quelle di assenza dovuta a malattia o infortunio; se le rimanenti non eccedono il numero di 60, il diritto spetta; se lo eccedono, non spetta (160). Eppure, per quanto strano possa essere, alcune sentenze di merito hanno enunciato il principio secondo cui l'assenza per malattia che preceda immediatamente il periodo di astensione obbligatoria va assimilata alla presenza al lavoro, sicche' il trattamento economico di maternita' e' dovuto a prescindere dalla posizione di lavoro in cui la gestante si possa essere trovata prima di ammalarsi (161). Si controverteva se il 2 comma dell'art. 17 consentisse di non computare nel termine ostativo di 60 giorni non soltanto le giornate di assenza dovuta a malattia o ad infortunio sul lavoro, ma anche quelle di assenza facoltativa in seguito a un parto precedente. La maggior parte delle sentenze stabilirono che la norma lo consente (162), qualche altra decise in senso opposto (163). Alcuni dei giudici che non ritenevano consentita l'interpretazione favorevole alle lavoratrici, sollevarono questione di legittimita' costituzionale della norma in riferimento agli artt. 3, 31 e 37 Cost. (164); e la Corte Costituzionale ha emesso una sentenza di accolgimento (165): dopo di che, la Cassazione ha deciso in senso favorevole alle lavoratrici (166). La questione, percio', e' ormai superata. Alcune delle ordinanze che hanno sottoposto alla Corte Costituzionale la questione ora esaminata, avevano ravvisato un possibile contrasto dell'art. 17, 2 comma, L. n. 1204 del 1971 con i principi della Costituzione, anche in quanto esso esclude che, nel computo del termine ostativo di 60 giorni, - 58 - non si debbano considerare le giornate di congedo straordinario senza retribuzione (167), quelle di permesso senza retribuzione per assistenza alla prole nata da un parto precedente (168) e quelle di un periodo di aspettative senza retribuzione per motivi di famiglia (169). Ma la Corte ha riguarda l'assenza facoltativa in seguito a un parto precedente (170). E' sorta questione se il 3 comma dell'art. 17 consenta di riconoscere il diritto all'indennita' di maternita' alla lavoratrice che, all'inizio dell'interdizione obbligatoria, abbia maturato il diritto all'indennita' di disoccupazione, pero' non ne abbia il godimento attuale, come sembrerebbe che la norma testualmente richieda: e, trattandosi di norma eccezionale, essa dovrebbe essere di stretta interpretazione. Tuttavia, la giurisprudenza, sotto il profilo che le norme eccezionali, se non consentono l'applicazione analogica, sono pero' suscettibili di interpretazione estensiva, ha stabilito il diritto all'indennita' di maternita' (171); ma lo ha escluso nell'ipotesi in cui la lavoratrice, oltre a non avere il godimento attuale dell'indennita' di disoccupazione, non possa piu' conseguirla per aver lasciato scadere a vuoto il termine stabilito per inoltrare la relativa domanda (172) o, peggio, manchi proprio dei requisiti di legge per poter chiedere l'indennita' di disoccupazione (173). Il 3 comma dell'art. 17, mentre all'inizio parla di "lavoratrice... in godimento dell'indennita' di disoccupazione", poi prevede il diritto all'indennita' di maternita" "anziche' all'indennita' ordinaria di disoccupazione". Ne e' stata dedotta l'inapplicabilita' della norma in caso di godimento del trattamento speciale di disoccupazione, ed e' stato escluso che, pur intesa in senso cosi' restrittivo, essa possa essere in contrasto con la Costituzione (174). Il 4 comma dell'art, 17, parlando di "lavoratrice... che non e' in godimento dell'indennita' di disoccupazione perche' nell'ultimo biennio ha effettuato lavorazioni alle dipendenze di terzi non soggette all'obbligo dell'assicurazione contro la disoccupazione", sembra riferirsi alla sola lavoratrice priva di indennita' di disoccupazione perche', nell'ultimo biennio anteriore all'inizio dell'interdizione obbligatoria, non assicurata (o anche insufficientemente assicurata) contro la disoccupazione per la natura oggettiva delle lavorazioni svolte, quali quelle enumerate dal D.M. 27 marzo 1957 (175), - 59 - non per altri motivi, quali quelli che attengono alla qualificazione soggettiva della singola lavoratrice: ossia, se attengono alla qualificazione soggettiva della singola lavoratrice: ossia, se impiegata od operaia, se operaia o apprendista. Quindi, la norma non e' applicabile, ad es., a colei che non e' stata assicurata contro la disoccupazione unicamente per la sua qualificazione soggettiva di apprendista, mentre vi erano soggette, di per se', le lavorazioni svolte. Non e' rilevante, invece, la circostanza che la lavoratrice non si sia trovata nella stessa posizione durante l'intero biennio, ma sia stata per una parte soggetta e per l'altra esclusa dall'assicurazione contro la disoccupazione. 13. Prescrizione estintiva. - La L. 30 dicembre 1971, n. 1204, cosi' come la precedente legge di tutela delle lavoratrici madri, non prevede una particolare prescrizione del diritto al trattamento economico di maternita'. Non risulta che dopo la sua entrata in vigore si sia riproposto il problema del termine di prescrzione applicabile: evidentemente, si ritengono appaganti i risultati a cui pervenne la giurisprudenza sotto l'impero della legge precedente. Allora fu controverso se, nel silenzio della legge speciale, la prescrizione applicabile fosse quella ordinaria decennale ex art. 2946 cod. civ., o valesse pur sempre quella breve di un anno ex art. 6, ult. comma, L. 11 gennaio 1943, n. 138. Nella giurisprudenza di merito si puo' dire che si equilibravano le decisioni secondo cui si doveva applicare la prescrizione ordinaria decennale, essendo quella ex art. 6 L. n. 138 del 1943 una prescrizione speciale riferita alle sole prestazioni previste dalla legge medesima, secondo la stessa dizione testuale della norma (176), e le decisioni secondo cui la prescrizione applicabile era, invece, quella annuale, equiparando la legge l'assicurazione di maternita' a quella contro le malattie ai fini della disciplina assicurativa (177). La Corte di Cassazione decise univocamente piu' volte nel senso dell'applicabilita' della prescrizione annuale, anche perche' si prescriveva incontestabilmente in un anno il diritto all'assistenza sanitaria di maternita' (L. n. 138 del 1943, art. 6, 1 comma, n. 5, in riferimento all'ult. comma), e sarebbe stato assurdo ritenere che il diritto alle prestazioni assicurative richieste dallo stesso evento fosse soggetto, per alcune (prestazioni sanitarie), alla prescrizione speciale di un anno e, per un'altra (prestazione - 60 - economica), alla prescrizione ordinaria decennale (178). Quest'ultimo orientamento dovrebbe essere ormai definitivo. 14. Parto prematuro e aborto. - Qualora la gravidanza non si concluda con un parto normale, ma vada soggetta a interruzione, si ha, secondo i casi, l'evento del parto prematuro o quello dell'aborto. La normativa in materia di interruzione della gravidanza e' data dal combinato disposto dell'art. 20 L. 30 dicembre 1971, n. 1204, e degli artt. 4 e 12 del regolamento per la sua attuazione, approvato con DPR 26 novembre 1976, n. 1026, ai sensi dei quali l'interruzione della gravidanza, spontanea o terapeutica, e' considerata a tutti gli effetti come aborto, da equipararsi alla malattia, o come parto prematuro, da equipararsi al parto normale, a seconda che si sia verificata prima o dopo il 180 giorno dall'inizio della gestazione, presumendosi avvenuto il concepimento 300 giorni prima della data presunta del parto indicata nel certificato medico di gravidanza. La distinzione ha conseguenze pratiche rilevantissime, giacche', se l'evento si deve qualificare come aborto, dato che la legge lo equipara alla malattia, la lavoratrice ha diritto di astenersi dal lavoro solo per il tempo necessario al ripristino della capacita' lavorativa e non puo' vantare altri diritti a prestazioni previdenziali di natura economica fuori di quello all'indennita' di malattia; se, invece, va qualificato come parto prematuro, si deve applicare l'interdizione obbligatoria "post parum", a prescindere dalla durata dell'incapacita' lavorativa, e spetta alla lavoratrice il trattamento economico di maternita', piu' favorevole di quello di malattia. La vigente normativa e' quasi identica a quella abrogata: l'unica differenza consiste nella presunzione del verificarsi del concepimento 300 giorni prima della data presunta del parto, che e' stata introdotta dal regolamento di esecuzione della L. n. 1204. Pero' non sembra contestabile che essa ammetta la prova contraria ("praesumptio iuris tantum"), giacche' la presunzione assoluta ("iuris et de iure") richiede una previsione esplicita in tal senso da parte di una norma primaria. La differenza tra la normativa nuova e quella abrogata, quindi, si puo' considerare irrilevante; ed e' sempre attuale la questione, che la legge lasciava e continua a lasciare insoluta, della qualificabilita' giuridica del cosiddetto aborto "interno" - in cui, cioe', alla morte del prodotto del concepimento non segua immediatamente la sua espulsione dalla cavita' uterina -, quando l'espulsione - 61 - risulti a cavallo del 180 giorno dall'inizio della gestazione. Si tratta di stabilire se, per qualificare l'evento come aborto o come parto prematuro, si debba tener conto dell'epoca della morte o della data dell'espulsione. Sennonche', mentre l'espulsione del prodotto del concepimento avviene in un momento storico ben preciso, nessuno e' in grado di fissare con precisione quello della morte intrauterina. Per dirimere ogni dubbio, la legge ben potrebbe adottare la data dell'espulsione come quella sulla cui base procedere alla qualificazione dell'evento; ma cio' comporterebbe una "fictio iuris" nel senso della contemporaneita' della morte all'espulsione, di cui non si rinviene traccia in alcuna disposizione di diritto positivo, nemmeno nella norma dell'art. 28 L. n. 1204 secondo cui "la data pesunta del parto... indicata nel certificato (medico di gravidanza) fa stato, nonostante qualsiasi errore di previsione": come si e' gia' visto, tale indicazione non ha valore vincolante a tutti gli effetti connessi con il sistema protettivo delle lavoratrici gestanti e puerpere, ma serve solo a dirimere ogni dubbio sull'inizio del periodo di interdizione obbligatoria e non vale ogni qualvolta sia possibile sostituire un giudizio di certezza, in base all'esame di precisi dati obiettivi, ad una valutazione presuntiva risolventesi in un giudizio di probabilita' (179). Sotto questo profilo, la giurisprudenza prevalente e piu' autorevole ha stabilito che, se il prodotto del concepimento espulso, in base a rigorosi accertamenti obiettivi, risulti morto quando non aveva ancora raggiunto i 180 giorni di sviluppo, l'evento e' da qualificare come aborto, anche se l'espulsione sia avvenuta successivamente al 180 giorno (180). Non mancano sentenze di merito nel senso che la data presunta del parto indicata nel certificato medico di gravidanza ha valore vincolante anche al fine di stabilire quanto tempo dopo l'inizio della gestazione si e' verificato l'evento interruttivo e, quindi, se esso costituisca aborto o parto prematuro (181). E si attende che sulla questione specifica torni a pronunciarsi la Corte di Cassazione (182). 15. Rapporti con altri trattamenti previdenziali. - Per il 1 comma, 2 inciso, L. 30 dicembre 1971, n. 1204, l'indennita' di maternita' per il periodo di interdizione obbligatoria "e' comprensiva di ogni altra indennita' spettante per malattia". Se ne deve dedurre che, in caso di concomitanza temporale tra periodo di interdizione obbligatoria e malattia invalidante, - 62 - spetta alla lavoratrice il solo trattamento economico di maternita', che assorbe ogni trattamento di malattia: e non vanno fatte distinzioni a seconda che si tratti di malattia generica o di malattia specifica, quali la tubercolosi o le malattie professionali, ne' a seconda che la malattia insorga nel corso del periodo di interdizione obbligatoria, o tale periodo inizi quando la lavoratrice e' gia' ammalata. Stante la "ratio" della L. n. 1204 del 1971, che e' quella di concedere una tutela quanto piu' possibile favorevole alle lavoratrici gestanti e puerpere, e' da ravvisare, sia pure attraverso un'interpretazione estensiva della norma in esame, la prevalenza del trattamento economico di maternita' anche sull'indennita' giornaliera per inabilita' temporanea da infortunio sul lavoro. Invece, l'indennita' post-sanatoriale dovuta alla lavoratrice colpita da tubercolosi ai sensi dell'art. 2 L. 14 dicembre 1970, n. 1088, e' chiaramente cumulabile con il trattamento economico di maternita'. Essa, infatti, e' dovuta "anche nel caso in cui l'assistito attenda a proficuo lavoro o fruisca comunque dell'intera retribuzione" (art. 2, 2 comma, L. n. 1088 cit.): quindi, a differenza del trattamento economico per malattia in generale, serve non a sostituire il salario perduto, ma a rafforzare la posizione economica del lavoratore gia' colpito da tubercolosi, che, debilitato dalla malattia, dopo la guarigione puo' vedersi costretto ad accettare un lavoro meno impegnativo ed anche retribuito in minor misura rispetto a quello che potrebbe svolgere in condizioni normali. La norma che stabilisce la prevalenza del trattamento economico di maternita' rispetto ad "ogni altra indennita' spettante per malattia", essendo collocata al 1 comma dell'art. 15 L. n. 1204, che riguarda il solo trattamento economico per il periodo di interdizione obbligatoria, e non essendo ripetuta o, quanto meno, richiamata nel comma successivo dell'articolo, e' estranea alla disciplina dei rapporti fra trattamento economico di maternita' per astensione facoltativa "post partum" e indennita' di malattia. Qui vale un principio diverso: cioe', dato che la facolta' di astensione dal lavoro implica la costanza di attivita' lavorativa retribuita (183), l'assenza per malattia invalidante e' incompatibile con l'esercizio della predetta facolta': se la puerpera, al momento in cui dovrebbe iniziare a godere dell'astensione facoltativa, e' gia' assente dal lavoro - 63 - perche' ammalata (o infortunata), non puo' usufruirne, con diritto alla relativa indennita', fino a quando perdura l'incapacita' al lavoro provocata dalla malattia (o dall'infortunio); mentre, se si ammala durante l'astensione facoltativa, questa rimane sospesa e cosi' pure l'erogazione, da parte dell'istituto assicuratore competente, della relativa indennita'. Per la stessa ragione suesposta, invece, l'indennita' di maternita' per astensione facoltativa e' cumulabile con l'indennita' post-sanatoriale. 16. Estensione della tutela alle lavoratrici madri adottive, o affidatarie di minori, e al padre. - Sotto l'impero della L. 26 agosto 1950, n. 860, intitolata "tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri", non si dubitava che della tutela da essa prevista beneficiassero le sole lavoratrici madri in senso naturale e non anche le madri adottive o affidatarie di minori. Invece, con l'entrata in vigore della L. 30 dicembre 1971, n. 1204, dal cui titolo e' scomparsa la specificazione "fisica ed economica", che non contiene piu' la limitazione espressa alle lavoratrici gestanti e puerpere ed ha introdotto innovazioni migliorative dell'assistenza, e' sorta questione se alcune delle sue norme protettive siano applicabili anche alle lavoratrici che hanno adottato il bambino o lo hanno ricevuto in affidamento preadottivo. Il discorso, naturalmente, ha senso solo se riferito alle norme che non sono palesemente dirette alla tutela fisica della lavoratrice e, quindi, ancorate agli eventi fisiologici della gravidanza e del parto: cioe', all'art. 4, limitatamente al 1 comma, lett. c (astensione obbligatoria dal lavoro "post partum"); al 7, 1 comma (assenza facoltativa dopo il periodo dell'interdizione obbligatoria) e 2 comma (assenza dal lavoro per le malattie del bambino di eta' inferiore a tre anni); al 10 (riposi per allattamento) e al 15, 1 e 2 comma (indennita' economica, rispettivamente, per i periodi di interdizione obbligatoria e di assenza facoltativa successiva alla prima). Al riguardo, tranne pochissime sentenze le quali hanno riferito la tutela prevista dalla L. n. 1204 alle sole madri di sangue (184), tutte le altre che si sono occupate della questione hanno ravvisato l'estensibilita' delle norme sopra richiamate alle lavoratrici madri adottive o affidatarie di minori (185) o, persino, che hanno avuto un bambino in collocamento provvisorio (186). - 64 - Nel frattempo e' intervenuta la legge 9 dicembre 1977, n. 903, il cui art. 6 estende espressamente alle "lavoratrici che abbiano adottato bambini o che li abbiano ottenuti in affidamento preadottivo, ai sensi dell'articolo 314/20 del codice civile", le seguenti norme della L. n. 1204 del 1971: art. 4, lett. c (riguardante l'interdizione obbligatoria "post partum"), con diritto al "trattamento economico relativo, durante i primi tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia adottiva o affidataria", a condizione che questi "non abbia superato al momento dell'adozione o dell'affidamento i sei anni di eta'"; art. 7, 1 comma (riguardante l'assenza facoltativa "post partum"), "entro un anno dall'effettivo ingresso del bambino nella famiglia e sempreche' il bambino non abbia superato i tre anni di eta'"; art. 7, 2 comma (diritto di assentarsi dal lavoro durante le malattie del bambino di eta' inferiore a tre anni). L'intervento apposito del legislatore sembrava che fosse valso a por fine ai precedenti dubbi, giacche' dovrebbe essere chiaro che le norme estensibili alle lavoratrici madri non di sangue sono quelle sole indicate dall'art. 6 L. n. 903 del 1977, che la loro estensione e' subordinata alle condizioni ivi previste e che le lavoratrici che si giovano dell'estensione sono soltanto le madri adottive o che abbiano che li hanno avuti in collocamento provvisorio, che e' un istituto affatto diverso. Ma si vede che i dubbi permangono: basti considerare che la Corte di Cassazione ha pronunciato due sentenze a sezione singola (Lavoro), dicendo, nella prima, che certe norme della L. n. 1204 sono di per se' estensibili alle lavoratrici madri adottive o affidatarie, a prescindere da un apposito intervento del legislatore (187), e nella seconda, che l'estensione consegue unicamente alla L. n. 903 del 1977, avente carattere innovativo e non retroattivo (188); la volta successiva in cui la stessa sezione singola avrebbe dovuto pronunciarsi sulla questione specifica, preso atto del contrasto fra i precedenti giudicati, ha rimesso la causa alle sezioni unite, le quali, con una sentenza recentissima, hanno stabilito l'inapplicabilita' della L. n. 1204 alle lavoratrici che abbiano avuto un minore in collocamento provvisorio (189). Si consideri ancora, fra l'altro, che, ove si prescinda dall'intervento apposito del legislatore, la sussistenza nei singoli casi concreti delle condizioni che debbono ricorrere per l'applicabilita' non puo' che dipendere da valutazioni soggettive e arbitrarie. Per citare qualche esempio, il - 65 - Pretore e il Tribunale di Milano avevano attribuito il diritto all'assenza facoltativa a una lavoratrice che aveva adottato un bambino di ben undici anni di eta' (190); ma l'art. 6 L. n. 903 del 1977 richiede, per l'esercizio della facolta' ex art. 7 L. n. 1204 del 1971, che "il bambino non abbia superato i tre anni di eta'". Quindi, sulla base della L. n. 903 del 1977, si dovrebbe escludere un diritto che sarebbe stato, invece, attribuito dalla L. n. 1204 del 1971! Ancora: con l'ordinanza del 17 gennaio 1973 cit. sub nota 185 il Pretore di Roma aveva ritenuto applicabile a una lavoratrice affidataria l'art. 10 L. n. 1204 sui riposi per allattamento; ma la norma non e' richiamata dalla L. n. 903 del 1977. E, allora, "quid iuris"?. Analoga a quella ora esaminata e' la questione di stabilire l'estensibilita' di certe norme della L. n. 1204 al padre lavoratore in vece della madre; e anch'essa si dovrebbe considerare legislativamente risolta dalla L. 9 dicembre 1977, n. 903. Il suo art. 7, infatti, estende al padre lavoratore, anche apprendista e anche adottivo o affidatario (purche' non sia lavoratore a domicilio o addetto ai servizi domestici e familiari), "in alternativa alla madre lavoratrice ovvero quando i figli siano affidati al solo padre", il diritto all'assenza facoltativa "post partum", con la corresponsione del relativo trattamento economico, e il diritto di assentarsi dal lavoro durante le malattie del bambino di eta' inferiore a tre anni; e' sufficiente che il padre consegni al proprio datore di lavoro una dichiarazione da cui risulti la rinuncia della genitrice a valersi dei diritti di cui trattasi e inoltre, per l'assenza facoltativa "post partum", una successiva dichiarazione del datore di lavoro della genitrice comprovante l'avvenuta rinuncia e, per l'assenza per malattia del bambino, un certificato medico che la attesti. Dovrebbe essere del tutto incontrovertibile che l'estensione opera, oltreche' dall'entrata in vigore della L. n. 903 del 1977, anche entro i limiti e alle precise condizioni da essa previste (191) sennonche', anche qui occorre adoperare il condizionale ("dovrebbe" essere), perche' alcuni giudici di merito procedono per conto loro, ravvisando l'estensibilita' al padre lavoratore delle norme sull'assenza facoltativa ancorche' la madre, per non essere lavoratrice dipendente, non abbia un diritto suo proprio (192), oppure ritenendo applicabili al padre anche le norme sull'interdizione obbligatoria (193). E' da sperare che metta un po' di ordine la Corte di Cassazione, a cui la questione e' stata sottoposta. - 66 - QUESTIONI DI PROCEDURA. 1. Ricorso amministrativo precontenzioso. - L'art. 443 (nuovo testo) cod. proc. civ., nel prevedere il ricorso amministrativo quale condizione di procedibilita' della domanda giudiziale in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, usa la dizione testuale "procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in sede amministrativa". Analogamente si esprimeva l'art. 460 prima della "novella" 11 agosto 1973, n. 533, con la sola differenza che prevedeva il ricorso amministrativo quale condizione di proponibilita' della domanda, anziche' quale condizione di procedibilita'. Una norma cosi' formulata non puo' servire di base all'obbligatorieta' del ricorso amministrativo, giacche' rimanda alle leggi speciali: dovrebbero essere queste ultime a prevedere con espressa dizione l'obbligo del ricorso amministrativo precontenzioso. Ma, in materia di prestazioni in genere erogate dall'INAM (senza eccezione per le indennita' di malattia e di maternita', le sole che qui interessano), si formo' un indirizzo giurisprudenziale costante e consolidato nel senso che ne' nella legge istitutiva 11 gennaio 1943, n. 138, ne' in quelle successive concernenti l'INAM era dato rintracciare alcuna norma che prevedesse il ricorso amministrativo come obbligatorio, fermo restando che l'assicurato era libero di proporlo prima di adire le vie legali, come era libero, dopo averlo proposto, di non attenderne l'esito (194). Questo regime e' rimasto invariato pur dopo il trasferimento all'INPS della competenza passiva in materia di indennita' di malattia e di maternita' conseguente alla riforma sanitaria. 2. Legittimazione passiva. - Quando le indennita' di malattia e di maternita', anziche' essere corrisposte direttamente dall'Istituto, vanno anticipate al dipendente dal datore di lavoro, puo' essere dubbio quale sia il soggetto passivamente legittimato alla domanda giudiziale: se l'INPS o il datore di lavoro. La risposta al quesito dipende dalla posizione giuridica che si attribuisca al datore di lavoro: se quella di "adiectus solutionis causa", cioe' di un semplice incaricato del pagamento, o quella di obbligato diretto alla corresponsione delle indennita' nei confronti del lavoratore. "Prima facie", non sembrerebbe che la situazione sia diversa - 67 - da quella che si presenta in materia di assegni familiari; sennonche', non si puo' certo eslcudere, allo stato, che sia sostenibile la tesi dell'obbligo diretto a carico del datore di lavoro, con conseguente sua legittimazione passiva all'azione di condanna da parte del dipendente assicurato, secondo l'orientamento che si va profilando nella giurisprudenza di merito (195). Naturalmente, non si puo' contestare la legittimazione passiva dell'Istituto, quanto meno, ad un'azione di accertamento da parte dell'assistito (196), come anche la sua legittimazione ad impugnare la sentenza di condanna pronunciata a carico del datore di lavoro (197). 3. Giudice competente. - La norma in base alla quale si deve stabilire qual e' il giudice competente sulla domanda di indennita' di malattia o di maternita' proposta contro l'INPS, e' quella che riguarda le prestazioni previdenziali in genere, cioe', il 1 comma dell'art. 444 (novellato) cod. proc. civ. Benche' essa sia formulata con estrema chiarezza, non di rado si verifica che il ricorso sia proposto dinanzi a un Pretore incompetente per territorio. E' bene, percio', tener presente che deve essere adito il Pretore della localita' dove si trova il Tribunale nel cui cincondario risiede il richiedente la prestazione: Pretore che, se il territorio della Provincia comprende piu' di un circondario giudiziario, puo' anche non essere quello della localita' dove si trova la Sede Provinciale dell'Istituto. Citiamo qualche esempio: la Provincia di Latina comprende il solo circondario giudiziario del capoluogo; quindi, un lavoratore di questa Provincia che voglia agire in giudizio deve adire necessariamente il Pretore di Latina. Invece, la Provincia di Roma ha tre circondari, che sono quello del capoluogo e quelli di Velletri e di Civitavecchia; quindi, un lavoratore che risiede nel Comune di Albano Laziale, rientrante nella Provincia di Roma ma nel circondario di Velletri, deve adire il Pretore di quest'ultima localita', non quello del capoluogo della Provincia. Cio' stante, e' bene che, quando il Comune di residenza dell'attore non risulta dal ricorso, il difensore dell'Istituto accerti qual e', in modo che, ove risulti adito un Pretore incompetente e la domanda attorea risulti fondata, si possa provvedere alla corresponsione dell'indennita' prima che la domanda venga riproposta dinanzi al Pretore competente: in tal caso, quello adito, se riconosce fondata l'eccezione di incompetenza, non potra' condannare l'Istituto alle spese; ne' potra' farlo il Pretore competente, perche' il lavoratore e' stato soddisfatto prima di proporre la domanda dinanzi a lui. - 68 - E' da ritenere che il 1 comma dell'art. 444 cod. proc. civ. trovi applicazione anche nei casi in cui l'indennita' debba essere anticipata per legge dal datore di lavoro e il lavoratore agisca contro di esso, nel presupposto che sia l'obbligato diretto. Basti riflettere che l'art. cit., attraverso il richiamo del 442, si riferisce ad una nozione oggettiva di controversia previdenziale, che prescinde dal soggetto passivo nei cui confronti viene promossa; ed appare incontestabile che, oggettivamente, la domanda giudiziale di indennita' di malattia o di maternita' e' sempre la stessa, sia che venga esperita contro l'INPS, sia contro il datore di lavoro. L'art. 444, 1 comma, cod. proc. civ. appare applicabile anche quando sia l'INPS ad agire per il recupero di somme indebitamente corrisposte al lavoratore (o alla lavoratrice) quale indennita' giornaliera di malattia o di maternita'. Non si tratta certamente di una comune azione di "repetitio indebiti", che sarebbe soggetta alle norme generali in tema di competenza per valore e per territorio, perche', data l'indisponibilita' del diritto alle prestazioni previdenziali, il giudice adito dall'INPS per ottenere il recupero deve sempre accertare, anche in difetto di contestazioni da parte del lavoratore, se le somme a lui corrisposte quale indennita' giornaliera, effettivamente, non gli spettino: quindi, dovendosi procedere ad interpretazione e applicazione di norme riguardanti le assicurazioni sociali, si ricade in quella nozione oggettiva di controversia previdenziale a cui si e' accennato (198). Eppure, non manca qualche decisione nel senso dell'applicabilita' delle norme comuni sulla competenza per valore (199). Qualche dubbio, invece, puo' sorgere sull'impugnazione da proporre contro la sentenza di 1 grado (se appello o direttamente ricorso alla Corte di Cassazione in applicazione dell'art. 440, novellato, cod. proc. civ.), ove la causa sia stata promossa contro l'Istituto per la sola questione dell'"an debeatur", senza precisare del "quantum" in alcun atto processuale, nemmeno nella sentenza: il dubbio puo' derivare dal fatto che si potrebbe pensare a un valore della causa indeterminabile. Ma c'e' ormai un indirizzo giurisprudenziale costante e consolidato, secondo cui il valore e' indeterminabile solo se, per la natura della questione controversa, esso non si puo' assolutamente esprimere in una data somma di denaro (es., nel caso - 69 - dell'azione di disconoscimento della paternita' o in quello del procedimento di interdizione); se, invece, il valore non e' stato indicato in una somma di denaro ben precisa sol perche' era in contestazione unicamente l'"an debeatur", ma e' possibile procedere in qualsiasi momento a una determinazione ben precisa, il valore e' quello che si ottiene con gli opportuni conteggi (200). Quindi, in applicazione dell'art. 440 cit. la sentenza di primo grado sara' impugnata mediante appello o mediante ricorso per cassazione, a seconda che il valore ottenuto con i conteggi sia di almeno L. 50.001 oppure non superi lire 50.000. Anche a questi fini, il calcolo del valore sara' eseguito, in applicazione dell'art. 10 cod. proc. civ., sulla base della domanda proposta, cumulando con la somma capitale gli interessi gia' maturati e ogni altro accessorio decorrente da tempo anteriore alla domanda giudiziale, coma la rivalutazione monetaria, sempreche' gli accessori siano stati espressamente richiesti e ancorche' non spettino: si terra' conto solo dell'effettiva portata oggettiva della domanda proposta, prescindendo da ogni valutazione attinente al merito (201). 4. Questioni varie. - Fuori di quelle fin qui esaminate, le altre questioni di procedura che si presentano non assumono un aspetto particolare in materia di indennita' di malattia e di maternita', ma, quando non si riferiscono al processo civile in generale, attengono o alle controversie di lavoro e previdenziali "lato sensu" o, tutt'al piu', alla domanda di prestazioni assicurative in genere. Cosi', la nullita' di notifica dell'atto introduttivo del giudizio (art. 164, 1 comma, cod. proc. civ.), in caso di assegnazione di un termine a comparire minore di quello stabilito dalla legge (cioe' di 30 giorni ex art. 415, 5 comma, in relazione al 442, 1 comma); l'interesse ad agire concreto e attuale quale condizione dell'azione (art. 100); l'inapplicabilita' della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale (art. 3 L. 7 ottobre 1969, n. 742); l'inclusione delle spese della consulenza tecnica fra le spese di causa che possono essere poste a carico del lavoratore soccombente nella sola ipotesi di domanda giudiziale manifestamente infondata e temeraria (art. 152 disp. attuaz. cod. proc. civ.); e cosi' via. Non appare superfluo soffermarsi su una di tali questioni che, nella materia di cui ci si sta occupando, ricorre con una certa frequenza: quella della riunione di procedimenti per motivi di connessione. Dato che molto spesso i lavoratori, per - 70 - agire in giudizio, si rivolgono ad enti di patronato, si verifica che vengano promosse dinanzi allo stesso giudice, tante volte per ministero del medesimo legale, piu' cause identiche o connesse anche soltanto per l'identita' delle questioni dalla cui risoluzione dipende, in tutto o in parte, la loro decisione. In tali casi, in forza dell'art. 151 disp. attuaz. cod. proc. civ., il giudice e' tenuto - e non ne ha una semplice facolta' - a disporre la riunione delle varie cause, salvo "che essa renda troppo gravoso o comunque ritardi eccessivamente il processo", e, se eventualmente al giudice sfugga questo adempimento, sara' bene che il difensore dell'Istituto ne richiami l'attenzione su di esso ai fini di economia. Infatti, per il cpv. dell'art. 151 cit. "le competenze e gli onorari saranno ridotti in considerazione dell'unitaria trattazione delle controversie riunite". C'e' poi una norma specifica, che e' data dall'art. 5 del decreto del Ministro di Grazia e Giustizia 26 settembre 1979, che ha approvato la tariffa forense in vigore, la quale norma ripete con le stesse parole quelle dei D.M. relativi alle tariffe precedenti, fino al D.M. 2 aprile 1965. Il detto art. , al 4 comma, stabilisce che, "nei casi di assitenza e difesa di piu' parti aventi la stessa posizione processuale, la parcella unica potra' essere aumentata, per ogni parte fino ad un massimo di sei, del 20 per cento": in altri termini, si redigera' una parcella piena relativa ad una sola delle varie cause e, per ciascuna delle altre cause fino ad un massimo di sei, si aumentera' della percentuale indicata (202). E' stato stabilito che la norma non obbliga il giudice a disporre l'aumento, ma prevede una semplice facolta' da parte sua (203). E' stato anche precisato che i criteri enunciati dalla norma in esame valgono nei confronti sia del cliente, sia dell'avversario soccombente (204); e che la norma medesima si riferisce, oltreche' all'ipotesi dell'unicita' processuale originaria, anche a quella di piu' cause iniziate separatamente e poi riunite (205). Puo' avvenire che, pur nell'identita' della posizione processuale dei vari clienti, l'opera dell'unico difensore comporti l'esame di singole situazioni particolari in fatto e in diritto rispetto all'oggetto della causa. Per tale fattispecie, il 5 comma dell'art. 5 cit. da' diritto al difensore "al compenso secondo tariffa, ridotto del 30 per cento". - 71 - Queste norme valgono, oltreche' per gli onorari di avvocato, anche per le competenze di procuratore, tranne che questi abbia svolto a favore dei vari patrocinati attivita' distinte (autentiche di firme, formazioni di fascicoli, depositi di atti ecc.) (206). Ove occorrano chiarimenti e precisazioni, le SS.LL. potranno rivolgersi al competente Settore IMM del Ruolo Professionale - Ramo Legale. IL DIRETTORE GENERALE FASSARI ------ (1): V. "Atti Ufficiali" 1979, pag. 2452 (2): V. "Atti Ufficiali" 1980, pag. 117 N.B.: Dalla nota n. 3 alla nota n. 206, consultare materiale cartaceo. - 72 -