Istituto Nazionale della Previdenza Sociale
Circolare numero 109 del 7-10-2005.htm
Assunzioni a tempo determinato di lavoratori iscritti nelle liste di mobilità ex lege n. 223/1991. Riflessi sulla disciplina in materia di assunzioni a termine ex D.lgs. 6 settembre 2001, n. 368.
Direzione Centrale
delle Entrate
Contributive
Ai
Dirigenti
centrali e periferici
Ai
Direttori
delle Agenzie
Ai
Coordinatori
generali, centrali e
Roma, 7 Ottobre 2005
periferici
dei Rami professionali
Al
Coordinatore
generale Medico legale e
Dirigenti
Medici
Circolare n.
109
e, per conoscenza,
Al
Presidente
Ai
Consiglieri di Amministrazione
Al
Presidente
e ai Membri del Consiglio
di
Indirizzo e Vigilanza
Al
Presidente
e ai Membri del Collegio dei Sindaci
Al
Magistrato
della Corte dei Conti delegato
all’esercizio
del controllo
Ai
Presidenti
dei Comitati amministratori
di
fondi, gestioni e casse
Al
Presidente
della Commissione centrale
per
l’accertamento e la riscossione
dei contributi agricoli unificati
Ai
Presidenti dei Comitati regionali
Allegati
1
Ai
Presidenti dei Comitati provinciali
OGGETTO:
Assunzioni a tempo determinato di lavoratori
iscritti nelle liste di mobilità ex lege n. 223/1991. Riflessi sulla
disciplina in materia di assunzioni a termine ex D.lgs. 6 settembre 2001, n.
368.
SOMMARIO:
Chiarimenti in materia di assunzioni a tempo
determinato ex lege n. 223/1991 di lavoratori iscritti nelle liste di
mobilità
Il D.lgs. 6 settembre 2001, n. 368 (GU n. 235 del
9-10-2001), apportando significative modifiche alla disciplina in materia di
contratti a termine, ha, come noto, ampliato la possibilità di utilizzare il
contratto di lavoro a tempo determinato.
Ciò ha richiesto, tra l’altro, la necessità di
approfondire le problematiche connesse ai riflessi della nuova disciplina
giuridica sul lavoro a termine, rispetto alle assunzioni agevolate ex
articolo 8, c. 2 della legge n. 223/1991.
L’intervenuta liberalizzazione dei rapporti a
tempo determinato ha comportato, infatti, il superamento di alcune delle
precedenti disposizioni amministrative.
In particolare, con l’entrata in vigore della
disciplina contenuta nel D.lgs n. 368/2001, appare difficilmente sostenibile
una soluzione interpretativa che esclude l’applicabilità delle agevolazioni
ex lege n. 223/1991 ai rapporti instaurati nel rispetto delle indicazioni
contenute nel suddetto decreto.
Posto che la finalità dell’articolo 8, c. 2 della
legge n. 223/1991 è individuabile nel promuovere il reimpiego, seppure a tempo
determinato, di lavoratori collocati in mobilità, ne deriva che l’assunzione
di lavoratori (per un periodo non superiore a 12 mesi), secondo le modalità
di cui al menzionato decreto legislativo n. 368/2001, rende comunque
applicabili i benefici contemplati dalla legge n. 223/1991.
In tal senso devono intendersi modificate le
indicazioni fornite nella circolare
5 marzo 1997 n. 50,
che, peraltro, continuano ad esplicare i loro effetti con riferimento ai
periodi pregressi, con la conseguenza che non sono applicabili le
agevolazioni di cui alla legge n. 223/1991 ai rapporti di lavoro a termine
stipulati ai sensi della previgente legge n. 230/1962.
Proroga
del contratto.
Occorre inoltre considerare che la formulazione
dell’articolo 4 del Decreto legislativo in commento, fa sì che il contratto
di lavoro a termine possa essere prorogato, anche in forma agevolata, per un
periodo superiore a quello iniziale.
E’ evidente, tuttavia che l’agevolazione contributiva
non potrà superare la durata complessiva dei 12 mesi prevista dall’articolo
8, c. 2 della più volte citata legge n. 223/1991.
Anche su tale aspetto innovativo devono, quindi,
intendersi modificate le precedenti disposizioni di prassi.
Resta in ogni caso confermata l’impossibilità per
la medesima azienda di procedere a successive
assunzioni agevolate
dello stesso lavoratore in mobilità, se é
già esaurito l’arco temporale dei 12 mesi previsto dal più volte richiamato
articolo 8 della legge n. 223/1991.
Per quanto attiene a tutti gli aspetti di natura
lavoristica contenuti nel D.lgs. n. 368/2001, si rimanda a quanto già
illustrato dal Ministero del Lavoro con la circolare n. 42/2002 (allegato 1).
Il Direttore Generale
Crecco
Allegato 1
Ministero
del Lavoro e delle Politiche Sociali
Circolare 01.08.2002, n. 42
(Gazzetta Ufficiale 13 agosto 2002, n. 189)
Lavoro a
termine - costituzione del rapporto - nuova disciplina ex D.lgs. n. 368/2001
- chiarimenti
Oggetto: Il decreto
legislativo n. 368/2001 recante la nuova disciplina giuridica sul lavoro a
tempo determinato. Prime indicazioni applicative.
1. Premessa.
Il decreto legislativo 6
settembre 2001, n. 368, che recepisce nell'ordinamento nazionale la direttiva
del Consiglio del 28 giugno 1999, n. 99/70/CE relativa all'accordo quadro CES
(Confederazione europea dei sindacati), UNICE (Unione delle Confederazioni
delle industrie della Comunità europea), CEEP (Centro europeo dell'impresa a
partecipazione pubblica) sul lavoro a tempo determinato, non rappresenta
semplicemente un atto formale connesso all'adempimento di obblighi derivanti
dall'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea, ma si configura quale
manifestazione normativa di un più generale processo di modernizzazione
dell'organizzazione del lavoro già da tempo avviato.
Ed infatti, la ratio
sottesa alla disciplina in commento, oltre a trovare riscontro nella
progressiva previsione di nuove ipotesi di lavoro temporaneo (quali, il
contratto di formazione e lavoro, la fornitura di prestazioni di lavoro
temporaneo, la collaborazione coordinata e continuativa, le collaborazioni
occasionali, i tirocini formativi e di orientamento, ecc...), trova la sua
genesi - come tra l'altro indicato espressamente nel quinto Considerando
della Direttiva qui trasposta -, nelle conclusioni del Consiglio europeo di
Essen del 1995, dove si sottolineava la necessità di provvedimenti per
"incrementare l'intensità occupazionale della crescita, in particolare
mediante un'organizzazione più flessibile del lavoro, che risponda sia ai
desideri dei lavoratori che alle esigenze della competitività".
In questa prospettiva, la
direttiva 99/70/CE cit. si richiama alla risoluzione del Consiglio Europeo
del 9 febbraio 1999 relativa agli orientamenti in materia di occupazione per
il 1999, dove si invitano "le parti sociali a tutti i livelli
appropriati a negoziare accordi per modernizzare l'organizzazione del lavoro,
comprese le forme flessibili di lavoro, al fine di rendere le imprese
produttive e competitive e di realizzare il necessario equilibrio tra la
flessibilità e la sicurezza" (Cfr.: 6° Considerando).
Ed ancora, la predetta
direttiva trova ispirazione nella più recente Raccomandazione del Consiglio
dell'Unione Europea del 19 gennaio 2001, riguardante l'attuazione delle
politiche degli Stati membri in materia di occupazione per il 2001, dove, fra
l'altro, viene ulteriormente ribadito l'auspicio del metodo del dialogo
sociale per la modernizzazione e la riorganizzazione del mercato del lavoro
al fine dell'incremento delle opportunità di occupazione regolare e di buona
qualità, anche alla luce dei mutamenti strutturali in campo economico.
In questo quadro, il
decreto legislativo in commento, nel dare attuazione in Italia alla direttiva
comunitaria sopra richiamata, riforma integralmente la disciplina del
contratto a termine, superando in via definitiva il regime della tipizzazione
legale e restrittiva delle situazioni legittimanti proprio dell'abrogata
legge n. 230/1962 (e successive modifiche).
È di tutta evidenza la
diversa impostazione del legislatore del 2001 ove si legga l'articolo 1 del
decreto che consente la generale instaurazione di rapporti di lavoro a tempo
determinato ove sussistano "ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo" che giustificano l'apposizione del termine
medesimo.
In questo senso, la
riforma della disciplina del lavoro a termine risulta in linea con il 3°
Considerando della Direttiva 99/70/Ce nella parte in cui, facendo rinvio alla
Carta comunitaria dei diritti fondamentali dei lavoratori (e, segnatamente,
al punto 7 della medesima), auspica che la realizzazione del mercato interno
porti ad un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori
nella Comunità europea, mediante "il ravvicinamento di tali condizioni,
che costituisca un progresso, soprattutto per quanto riguarda le forme di
lavoro diverse dal lavoro a tempo indeterminato, come il lavoro a tempo
determinato, il lavoro a tempo parziale, il lavoro interinale e il lavoro
stagionale".
Tra l'altro già nella
relazione illustrativa al decreto veniva colto ed evidenziato l'aspetto
innovativo della disciplina in commento rispetto al regime previgente,
risultando l'attuale impostazione più semplice e, al tempo stesso, meno
esposta all'aggiramento attraverso comportamenti fraudolenti.
Ed infatti, al regime
della generale negazione del ricorso al contratto a termine tranne in alcuni
casi tipizzati, si sostituisce, recependo ormai un progressivo mutamento
della funzione economico sociale riconosciuta a detta forma contrattuale, il
principio in base al quale "il datore di lavoro può assumere dei
dipendenti con contratti a scadenza fissa, dovendo fornire contestualmente e
in forma scritta le (note) ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo
o sostitutivo" (Cfr.: Relazione illustrativa al provvedimento) che
legittimano l'apposizione del limite temporale.
A tal riguardo, giova,
comunque, da subito sottolineare che nella disciplina delineata dal D.Lgs. in
commento appare superato l'orientamento volto a riconoscere la legittimità
dell'apposizione del termine soltanto in presenza di una attività meramente
temporanea, così come, d'altronde, sono superati i caratteri della
"eccezionalità", "straordinarietà" ed "imprevedibilità"
propri delle precedenti ragioni giustificatrici.
Una corretta
interpretazione del disposto di cui all'articolo 1, comma 1, D.Lgs. 6
settembre 2001, n. 368, impone in effetti di rigettare letture riduttive
della lettera della legge - e dell'avviso comune sulle modalità e sui contenuti
traspositivi della normativa comunitaria formulato dalle parti sociali il 4
maggio 2001 - e segnatamente quegli orientamenti volti a riconoscere la
legittimità della apposizione del termine soltanto in presenza di una
occasione meramente temporanea di lavoro. Questa impostazione, già largamente
superata dalla legislazione previgente (si pensi alle ipotesi di assunzione a
termine di tipo c. d. soggettivo introdotte con il rinvio alla contrattazione
collettiva di cui all'art. 23, L. n. 56/1987), non solo non trova alcun
appiglio normativo di carattere testuale e/o sistematico, ma risulta
addirittura smentita dal raffronto con la disciplina vigente in materia di
lavoro temporaneo. L'articolo 1, comma 1, della Legge 24 giugno 1997, n. 196,
legittima infatti il ricorso alla fornitura di prestazioni di lavoro
temporaneo solo in presenza di "esigenze di carattere temporaneo"
così come individuate ai sensi del successivo comma 2.
Se, dunque, appare
plausibile che si ricorra alla stipulazione di un contratto a termine per
l'esecuzione di prestazioni che non abbiano di per sé il carattere della
"temporaneità", non per questo le ragioni giustificatrici non si
dovranno palesare come oggettive, verificabili e, soprattutto, non elusive
dell'intento perseguito dal legislatore volto ad evitare qualsiasi volontà
discriminatoria o fraudolenta del datore di lavoro.
Alla stregua della nuova
disciplina legale, la temporaneità della prestazione è, semplicemente, la
dimensione in cui deve essere misurata la ragionevolezza delle esigenze
tecniche, organizzative, produttive o sostitutive poste a fondamento della
stipulazione del contratto a tempo determinato. Il contratto a termine dovrà
pertanto essere considerato lecito in tutte le circostanze, individuate dal
datore di lavoro sulla base di criteri di normalità tecnico-organizzativa
ovvero per ipotesi sostitutive, nelle quali non si può esigere
necessariamente una assunzione a tempo indeterminato o, il che è lo stesso,
l'assunzione a termine non assuma una finalità chiaramente fraudolenta sulla
base di criteri di ragionevolezza desumibili dalla combinazione tra durata
del rapporto e attività lavorativa dedotta in contratto.
Premesso quanto sopra, si
procederà a svolgere alcune osservazioni e considerazioni sui principali aspetti
della normativa de qua.
2. Clausola generale di legittimazione del contratto a tempo
determinato.
Si è visto in premessa
come l'intervento del decreto legislativo n. 368 sia incentrato sulla
sostituzione delle tassative ipotesi di apposizione di termine con un modello
incentrato sulla clausola generale delle "ragioni di carattere tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo".
Trattasi di una norma
cosiddetta aperta, individuativa per grandi linee dei casi in cui la
ricorrenza di esigenze oggettive dell'organizzazione d'impresa determina
l'ammissibilità del ricorso a rapporti a tempo, con ciò operando una minore
compressione dell'autonomia privata, le cui pattuizioni restano sottratte al
controllo amministrativo (autorizzazione dei Servizi Ispezione lavoro in
occasione di assunzioni a termine per i cosiddetti "picchi
stagionali") e a quello sindacale (delega di potere normativo ex art.
23, legge n. 56/87 per l'individuazione di ulteriori fattispecie di rapporto
a termine) poiché viene abbandonato il criterio della flessibilità
contrattata per rafforzare un regime di pattuizioni individuali.
Inoltre, il provvedimento
individua alcune ipotesi di assunzione a termine (di seguito indicate), in
cui non è richiesta la sussistenza di specifiche ragioni né, ovviamente, la
relativa indicazione nel contratto. Esse sono:
- l'assunzione a termine
nel trasporto aereo e nei servizi aeroportuali (sul cui merito si rinvia più
ampiamente al § 3);
- le assunzioni a termine
nel settore del turismo e dei pubblici esercizi, per l'esecuzione di speciali
servizi non superiori a tre giorni ai sensi dell'art. 10, terzo comma;
- le assunzioni di
dirigenti, ammesse con il limite massimo di durata di cinque anni e senza
obbligo di forma scritta in quanto fattispecie contrattuali unicamente
soggette alle disposizioni degli artt. 6 e 8 (art. 10, quarto comma);
- la prosecuzione del
lavoro del personale dipendente che abbia differito il pensionamento di
anzianità ai sensi della legge n. 388/2000, art. 75 (art. 10, sesto comma);
- le assunzioni di
lavoratori in mobilità;
- le assunzioni dei
disabili ex art. 11 L. n. 68/99.
2.a Ragioni di carattere tecnico, produttivo ed organizzativo.
L'articolo 1, comma 1, del
decreto in commento consente l'apposizione di un termine alla durata del
contratto di lavoro subordinato a fronte delle note "ragioni di
carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo".
Si tratta, come detto, di
una clausola generale ed aperta la cui funzione è quella di consentire
l'utilizzazione flessibile dell'istituto in raccordo con le specifiche e
variabili esigenze concrete di ciascun datore di lavoro.
Tale ragioni, specificate
in via preventiva dal datore di lavoro nel contratto stipulato, devono
rispondere ai requisiti della oggettività e, pertanto, debbono essere
verificabili al fine di non dar luogo ad eventuali comportamenti fraudolenti
o abusivi.
A tal riguardo, è da
rilevare che la ragione addotta, purché concretamente riscontrabile, è
rimessa all'apprezzamento del datore di lavoro e deve sussistere e, quindi,
essere verificata, al momento della stipulazione del contratto. La
sopravvenuta stabilità della esigenza non può incidere sulla legittimità del
contratto di lavoro e del suo termine.
Ove, infine, la specifica
causale di assunzione in concreto dedotta dalle parti non dovesse essere
riconducibile alla previsione dell'art. 1 del decreto, il contratto dovrà
considerarsi ex tunc a tempo indeterminato.
2.b Ragioni sostitutive.
Fra le causali che il
datore di lavoro può addurre, il nuovo provvedimento comprende anche le
ragioni sostitutive.
L'ampiezza della formula
utilizzata legittima l'apposizione di un termine al contratto di lavoro
indipendentemente dal fatto che il personale da sostituire si sia assentato
per ragioni imprevedibili e non programmabili e che, d'altra parte, il
sostituito abbia un diritto legale, e non convenzionale, alla conservazione
del posto di lavoro. In proposito, si rileva che il contratto a termine
stipulato per questa motivazione non è assoggettato ai limiti quantitativi
che verranno eventualmente introdotti dalla autonomia collettiva (art. 10,
settimo comma, lett. b).
Resta da segnalare,
infine, che nell'assunzione per ragioni sostitutive, l'apposizione del
termine può risultare direttamente ed indirettamente, cioè, anche con un mero
rinvio al momento del futuro rientro del lavoratore da sostituire.
2.c. Limiti quantitativi ed esclusioni da tali limiti
Un regime cautelativo
dell'utilizzo del contratto a termine si rinviene nella disposizione che
affida ai contratti collettivi nazionali stipulati dai sindacati
comparativamente più rappresentativi il compito di individuare i limiti
quantitativi di utilizzazione dell'istituto, fatte salve, ovviamente, quelle
specifiche ipotesi di assunzione espressamente escluse da ogni limitazione
percentuale.
Tali ipotesi sono quelle
contemplate all'art. 10, settimo ed ottavo comma. Si tratta, in generale, di
ipotesi di assunzione ascrivibili a fabbisogni particolari di flessibilità
degli assetti produttivi e/o di servizio o, per altro verso, funzionali
all'accesso al lavoro dei giovani o degli ultra cinquantenni. In questi
ultimi casi, tuttavia, i particolari requisiti soggettivi contemplati dalla
legge escludono l'operatività dei limiti percentuali ma non superano anche il
principio di causalità del contratto a termine.
Da segnalare, inoltre, che
ai sensi del comma ottavo dell'art. 10 del decreto, i limiti percentuali non
trovano applicazione nel caso di contratto a termine di durata complessiva
inferiore a sette mesi a condizione che nei sei mesi precedenti non sia
venuto a scadere altro contratto a termine di durata inferire a sette mesi e,
quindi, esente da limitazione percentuale, avente ad oggetto lo svolgimento
di attività identiche.
Da ultimo, è utile
evidenziare che, fermo restando il necessario rispetto delle ragioni
giustificatrici di cui all'art. 1 del decreto, la fissazione di tali
limitazioni non costituisce un presupposto per l'instaurazione di contratti a
termine, ma solo una facoltà accordata alle parti sociali.
3. Assunzioni a termine nel settore del trasporto aereo e dei servizi
aeroportuali
L'art. 2 del decreto in
commento disciplina, in via aggiuntiva rispetto alla generale operatività
dell'art. 1, il ricorso al contratto a termine di breve durata nel settore
del trasporto aereo e dei servizi aeroportuali, riproducendo senza
modificazioni la lett. f), art. 1, legge n. 230/'62 (aggiunta con legge n.
84/1986), sicché le imprese di quel settore possono utilizzare tale tipologia
contrattuale nei limiti di tempo prescritti dalla legge senza pur tuttavia
essere tenute a specificarne le motivazioni. Ciò si spiega in ragione del
fatto che il settore in esame è caratterizzato da ciclici e ricorrenti
incrementi di produttività che il legislatore ha inteso codificare. Non è
escluso, peraltro, che le stesse imprese si avvalgano della norma generale di
cui all'art. 1 per ulteriori necessità di implementazione temporanea
dell'organico in periodi diversi e/o maggiori di quelli stabiliti dalla
disposizione in esame, la quale - è opportuno rilevarlo - non opera in via
esclusiva ma è limitata a sopperire alle sole implementazioni stagionali del
settore che sono ritenute strutturali.
Ai sensi dell'art. 2 del
decreto, dunque, i contratti a termine:
- con riferimento alla legittimazione
delle assunzioni, non necessitano di causale;
- in ordine alla durata,
da intendersi come comprensiva di eventuale proroga, possono prevedere
periodi di lavoro di sei mesi complessivi, tra aprile e ottobre di ogni anno,
e di quattro in periodi diversi;
- non possono superare la
misura del 15% dell'organico aziendale addetto, al gennaio dell'anno di
riferimento, ai servizi per i quali è prevista la costituzione di rapporti a
termine (servizi operativi di terra e di volo, di assistenza a bordo ai
passeggeri e merci). Giova sottolineare al riguardo che, fin dal 1995, con
nota del 19 dicembre, questo Ministero si è espresso nel senso che, essendo
unico e complessivo il parametro di riferimento sul quale calcolare la
percentualizzazione data, non per questo le assunzioni a termine devono
riguardare tutti i servizi indicati dalla disposizione, restando nella
disponibilità dell'azienda di valutare le necessità dei settori operativi
maggiormente esposti e conseguentemente provvedere al loro rafforzamento,
senza che il suddetto rapporto tra dipendenti stabili e precari a termine sia
osservato in ogni singolo servizio operativo. Eguale orientamento
interpretativo, vale nell'ipotesi di superamento del 15% a seguito di
provvedimento autorizzato della Direzione provinciale del lavoro, su istanza
di aziende operanti negli aeroporti minori.
4. Requisiti di forma del contratto a termine.
Poiché l'indicazione
scritta del termine e delle ragioni che lo legittimano è richiesta "ad
substantiam", la mancanza di detta forma comporta la nullità della
clausola relativa al termine, con la conseguenza che il contratto si
considera a tempo indeterminato.
La legge prevede, poi, che
copia del contratto, la cui pattuizione e stesura può essere anteriore o
contestuale all'inizio della prestazione lavorativa, sia fornita al
lavoratore a termine entro cinque giorni lavorativi dall'assunzione in
servizio (art. 1, terzo comma). Trattasi di un adempimento estrinseco ai
requisiti del contratto e, quindi, inidoneo ad incidere sulla validità.
L'atto scritto non è
richiesto per le assunzioni con durata non superiore a dodici giorni di
calendario (art. 1, quarto comma) né ovviamente per quelle dei dirigenti e
del personale addetto ai settori esclusi dall'ambito applicativo della legge
stessa.
In ogni caso, il termine
finale del contratto può risultare direttamente o indirettamente, con ciò
confermando il prevalente orientamento giurisprudenziale per il quale è
possibile stabilire un termine finale "certus an sed incertus
quando".
5. Divieti di stipulazione del contratto a termine.
Dalla previsione contenuta
nell'art. 3 in materia di divieti si ricava a contrario la conferma
dell'ampia facoltà di ricorso all'istituto, tenuto conto che il divieto è
tassativo nei casi di cui alle lettere a), c) e d), ma derogabile per quanto
previsto nella lettera b).
Ed infatti, ai sensi
dell'art. 3, lett. b), è fatto divieto di assumere lavoratori con contratto a
termine presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, nei sei mesi
precedenti, a licenziamenti collettivi di personale adibito alle medesime
mansioni cui si riferirebbe il contratto a termine da stipularsi.
Il principio qui descritto
soffre, pur tuttavia, di due eccezioni.
La prima, di carattere
generale, si riferisce all'eventuale diversa disposizione di accordi
collettivi.
La seconda, sancita
espressamente dal medesimo legislatore, precisa che, anche nell'ipotesi sopra
descritta, è comunque consentito assumere lavoratori con contratto a termine
ove lo stesso:
- sia volto a sostituire
lavoratori assenti;
- sia concluso per
l'assunzione di lavoratori in mobilità (ed abbia una durata non superiore a
dodici mesi);
- abbia una durata
iniziale non superiore a tre mesi, comunque prorogabile nel rispetto delle
forme e dei limiti stabiliti dall'art. 4.
6. Contratti esclusi dal campo di applicazione del D.Lgs. n.
368/2001.
Il provvedimento in esame
reca inoltre disposizioni concernenti l'esclusione dal proprio ambito
applicativo di istituti e tipologie contrattuali, sia in quanto soggetti ad
apposito regolamento giuridico (art. 10, comma primo, lettere a, b, c), sia
in quanto preordinati al conseguimento della formazione e all'inserimento al
lavoro, quali stages, piani di inserimento lavorativo, tirocini, che le
relative previsioni legislative non riconducono all'area di cui all'art. 2094
c. c. .
Sono esclusi inoltre i
contratti a contenuto formativo, quali apprendistato e formazione-lavoro
nonché quelli di lavoro temporaneo o interinale.
Quanto ai contratti di
formazione e lavoro, è appena il caso di rammentare che in essi la durata del
rapporto è determinata in primo luogo dall'art. 16 della legge n. 451/94 e,
nel rispetto del periodo massimo ivi fissato, dal singolo progetto formativo,
senza alcun riferimento quindi ad esigenze aziendali o motivazioni di cui
all'art. 1, D.Lgs. n. 368 cit..
Analoghe le ragioni
dell'esclusione del contratto di apprendistato, la cui durata, non vertendosi
di tipologia di lavoro flessibile, è rapportabile non ad esigenze aziendali
da ricondurre all'art. 1 succitato ma al complesso contenutistico della
qualificazione da conseguire.
A tal fine il relativo
periodo, normato legislativamente quanto ai limiti minimi e massimo, viene
stabilito dalla contrattazione collettiva di categoria cui la legge rinvia in
ordine alla determinazione oltre che del dato retributivo anche della durata
per le singole qualifiche sulla base delle ravvicinate valutazioni ed
esperienze delle parti sociali riguardo ai percorsi formativi e di lavoro
professionalizzanti.
Ed infatti, sia il
contratto di formazione e lavoro che quello di apprendistato si fondano su
presupposti del tutto diversi rispetto a quelli sottesi al rapporto a tempo
determinato.
Più precisamente, proprio
in ragione della loro peculiare funzione economico sociale, essi non solo
sono esclusi dal campo di applicazione del decreto in commento ma non
soggiacciono nemmeno alla disciplina della successione di più contratti ivi
disciplinata all'art. 5.
L'esecuzione del contratto
non è, infatti, ripetibile per la stessa qualifica e la relativa durata non è
prorogabile se non per esigenze connesse al completamento dell'iter
formativo. In particolare, il rapporto di apprendistato è unicamente soggetto
a soluzioni di continuità - ai sensi di legge - come da art. 8 della disciplina
istitutiva del 1955, che dispone la cumulabilità dei periodi di servizio
omogenei prestati alle dipendenze di più datori di lavoro al fine del
raggiungimento della qualifica.
Sul punto, va, poi,
rammentato l' art. 21, legge n. 56/1987, nella parte in cui (comma quarto)
demanda alla contrattazione collettiva di categoria di prevedere specifiche
modalità di svolgimento dell'apprendistato nelle imprese con attività in
cicli stagionali.
La casistica legislativa
in tema di esclusione comprende oltre al settore turismo e pubblici esercizi
relativamente alle assunzioni a giornata della quali si è già fatto cenno,
anche il settore dell'agricoltura e del commercio non al dettaglio di
prodotti ortofrutticoli.
Nella prima delle suddette
ipotesi, prevista dall'art. 10, secondo comma, viene ribadito il principio
già contenuto nella legge n. 230/'62 e incisivamente riaffermato dalla
Cassazione (Sent. Cass. S.U. n. 265 del 13.1.1997) al cui vaglio si deve il
definitivo chiarimento circa la non assoggettabilità dei rapporti a termine
in agricoltura all'area applicativa della generale disciplina ex legge n. 230
cit..
In merito la Corte,
interpretando evolutivamente l'art. 6 della citata legge n. 230, ha ammesso
"in generale e senza alcuna limitazione il lavoro stagionale
agricolo" oltre la previsione dell'abrogato regolamento di esecuzione di
cui al D.P.R. n. 1525/'63.
La nuova legge accoglie
detto principio per connessione logica estendendolo al settore produttivo
nello stesso art. 10, quinto comma, nell'ottica di non comprimere le
possibilità occupazionali e lo sviluppo del settore stesso, collegando le une
e l'altro alle vicende produttive dell'agricoltura con le quali
interagiscono.
7. Durata del contratto a tempo determinato
L'individuazione della
durata del contratto, come è ovvio, rappresenta una variabile dipendente dal
contesto produttivo nel quale il lavoratore deve essere inserito e, per
questo, il legislatore non ha stabilito a priori, tranne che per i dirigenti,
un limite di durata.
L'unico limite di durata,
dunque, è in generale quello desumibile, secondo un criterio di
ragionevolezza, in coerenza con la concreta causale di assunzione dedotta in
contratto all'atto della sua stipulazione.
Precisato quanto sopra in
via di principio, le disposizioni di seguito elencate recano, tuttavia,
predeterminazioni temporali di alcuni contratti.
Tipologia
Riferimento
Durata
lavoro a giornata
Art. 10, c. 3
tre giorni
lavoro occasionale
Art. 1, c. 4
dodici giorni non
prorogabili in coerenza con la condizione di occasionalità
deroga al divieto di
assunzione temporanea
Art. 3, lett. b
tre mesi prorogabili
settore aero portuale
Art. 2
quattro e sei mesi
contratti di breve
durata
Art. 10, c. 8
fino a sette mesi, non
prorogabili, o maggior durata stabilita dalla contrattazione collettiva.
deroga al divieto per
assunzioni di lavoratori in
mobilità
Art. 3, lett. b
dodici mesi non
prorogabili
lavoratori anziani in
possesso dei requisiti di pensionamento
Art. 10, c. 6
due anni, ripetibili
ipotesi di proroga
Art. 4, c. 2
tre anni complessivi
contratti dei dirigenti
Art. 10, c. 4
cinque anni
Occorre fornire un
chiarimento relativo alle attività stagionali, in particolare a quelle
ricomprese nella voce n. 48, D.P.R. n. 1525/63, come integrato dal D.P.R. n.
378/95, che vi ha inserito le aziende turistiche con periodi minimi di
inattività di settanta giorni continuativi o centoventi non continuativi.
Ora, quanto alle causali
di legittima apposizione del termine, il D.Lgs. n. 368 soprarichiamato,
nell'art. 10, settimo comma, lett. b), rinvia alle suddette attività
stagionali tabellate a mero titolo esemplificativo e non esclusivo in ordine
alla individuazione delle relative fattispecie, con la conseguenza che i
presupposti applicativi di cui alla predetta voce n. 48 non sono più
richiesti in quanto prevale l'allegazione della motivazione presentata
dall'imprenditore conformemente alla nuova legge.
Non sembra sussistere,
peraltro, alcuna predeterminazione di durata di questi contratti, la quale
rappresenta oggi una variabile dipendente dalle esigenze dell'assetto
produttivo di riferimento, sicché, per l'effetto abrogativo ex art. 11, primo
comma, nel settore turistico - diversamente dalla prassi di applicazione
della legge n. 230 - sono ora ammesse assunzioni a termine anche per periodi
superiori a sei mesi all'anno se supportate dalle motivazioni datoriali
addotte e, comunque, indipendentemente dai presupposti di applicabilità di
cui alla voce n. 48 cit..
8. Proroga del termine
Il contratto di lavoro a
termine può essere prorogato, secondo quanto stabilito dall'art. 4, anche per
un periodo largamente superiore a quello iniziale, ferma restando la durata
complessiva di tre anni ed eccezion fatta per i contratti di breve durata ex
art. 10, ottavo comma.
Premesso che l'istituto
della proroga come quello del rinnovo già risultava normato nell'ordinamento
in vista di approntare misure di prevenzione degli abusi, si osserva che
l'attualizzazione della disciplina, mentre conferma la possibilità di un
indefinito numero di rinnovi sempreché separati dagli intervalli temporali
fissati dall'art. 5, terzo comma, e ne sussistano i presupposti, ribadisce il
principio dell'unica proroga senza tuttavia circoscriverne la durata, purché
- si ribadisce - nel complesso inferiore a tre anni. Con ciò stesso, il
legislatore esprime un ulteriore segnale circa l'accezione elastica
dell'istituto in commento.
Quanto alla
giustificazione della proroga vi è infine da dire che le ragioni oggettive
indicate dal legislatore sono prive del carattere della imprevedibilità e/o
eccezionalità e/o straordinarietà.
È, dunque, da ritenersi
superata quella previgente disposizione che subordinava la legittimità della
proroga alla sussistenza di esigenze contingenti ed imprevedibili. In
particolare, fermo restando che la proroga deve riferirsi alla stessa
attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo
determinato, ciò implica la possibilità che le ragioni giustificatrici della
proroga, oltre che prevedibili sin dal momento della prima assunzione, siano
anche del tutto diverse da quelle che hanno determinato la stipulazione del
contratto a termine purché riconducibili a ragioni di carattere tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui all'art. 1 del decreto.
Quanto alle modalità della
proroga, il decreto n. 368 richiede anche il necessario consenso del
lavoratore, per la validità ed efficacia del quale non necessaria la forma
scritta (Cass. 23 novembre 1988, n. 6305).
Peraltro, la nuova
disciplina della proroga del contratto a termine è destinata a trovare
applicazione già con riguardo ai contratti stipulati nel vigore della
previgente disciplina stante l'abrogazione della legge n. 230/1962.
9. Prosecuzione del termine
L'articolo 5 del decreto
disciplina, poi, l'ipotesi della prosecuzione del rapporto individuando un
"periodo di tolleranza". Più precisamente, si stabilisce che, ove
il rapporto di lavoro continui dopo la scadenza del termine inizialmente
fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro deve corrispondere
al lavoratore, per ogni giorno di continuazione, una maggiorazione della
retribuzione.
Pur tuttavia, nel caso in
cui il rapporto prosegua per più di venti o trenta giorni, rispettivamente,
per i contratti di durata inferiore o superiore a sei mesi, il contratto si
considererà a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.
10. Limiti alla successione dei contratti a termine
Quanto alla patologia del
contratto, essa è contemplata nell'art. 5, che ne stabilisce la conversione a
tempo indeterminato:
- dalla data di stipula
del primo contratto, quindi con efficacia retroattiva, se le assunzioni si
siano succedute senza soluzione di continuità (quinto comma);
- dalla data di assunzione
di un secondo contratto a tempo determinato, se la riassunzione sia
intervenuta entro un periodo di dieci o venti giorni dalla data di scadenza
del contratto (rispettivamente di durata inferiore o maggiore di sei mesi
[terzo comma]): ritenendo ovviamente che il termine scadenziale comprenda
anche il periodo di eventuale prosecuzione del contratto e/o di proroga dello
stesso;
- (come visto) dal
ventunesimo o dal trentunesimo giorno successivo alla scadenza contrattuale,
nel caso di prosecuzione indennizzata del rapporto (secondo comma).
In applicazione del disposto
succitato, si conferma l'orientamento ministeriale di cui a circ. n. 53/97,
concernente la disciplina sanzionatoria in materia di contratto a tempo
determinato, con la puntualizzazione che la novella legislativa a mente
dell'art. 5, terzo comma, chiarisce la regola applicabile ai fini della
conversione di contratti con durata fino a sei mesi, o superiore a sei mesi,
per i quali la terminologia adottata nell'art. 12 della legge n. 196/1997
aveva lasciato spazio a qualche dubbio.
11. Abrogazioni e regime transitorio
Il D.Lgs. n. 368,
disponendo la regolamentazione giuridica dell'intera materia del contratto a
termine, non ammette intersezioni applicative con le precedenti disposizioni
che nel nuovo assetto normativo sono, pertanto, direttamente (come la legge
18 aprile 1962, n. 230 e successive modificazioni, l'art. 8 bis della legge
25 marzo 1983, n. 79, l'articolo 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56) o
indirettamente abrogate.
In relazione agli effetti
derivanti dalle predette abrogazioni, l'articolo 11, comma 2, del decreto
dispone tuttavia che "le clausole dei contratti collettivi nazionali di
lavoro stipulate ai sensi del citato articolo 23 e vigenti all'atto
dell'entrata in vigore del presente provvedimento legislativo, manterranno, in
via transitoria e salve diverse intese, la loro efficacia fino alla data di
scadenza dei contratti collettivi nazionali di lavoro stessi".
La previsione de qua ha,
quindi, l'effetto di mantenere, pur se in via transitoria, l'efficacia delle
clausole dei contratti collettivi nazionali fino alla loro naturale scadenza,
in tal modo facendo salve, anche nella vigenza della nuova normativa, le
ipotesi di legittima apposizione del termine ivi indicate, con la conseguenza
che il riferimento alle stesse esonera il datore di lavoro dal fornire
ulteriori giustificazioni.
Si ricorda, infatti, che
l'articolo 23, comma 1, della legge n. 56/1987 aveva affidato alla
contrattazione collettiva il compito di individuare, accanto alle ipotesi
tipizzate dal legislatore, ulteriori ipotesi in cui ammettere l'apposizione
del termine.
In tal senso, disponeva,
altresì, che nei contratti collettivi fosse stabilito il numero percentuale
dei lavoratori che potesse essere assunto con detta forma contrattuale
rispetto ai lavoratori impegnati a tempo indeterminato.
Attualmente, dunque, le
clausole dei contratti collettivi nazionali in vigore (ivi comprese quelle
relative all'individuazione dei limiti percentuali) continueranno ad avere
efficacia accanto alle altre ipotesi che la disciplina del decreto n. 368
ricollega alle richiamate esigenze di carattere "tecnico, produttivo,
organizzativo e sostitutivo" che, come più volte detto, legittimano ad
oggi l'apposizione del termine.
Va in ogni caso precisato,
in proposito, come le ipotesi di lavoro a tempo determinato individuate dalla
contrattazione collettiva ai sensi dell'articolo 23, Legge 56/1987, siano
aggiuntive e non sostitutive di quelle indicate dalla legge. Le clausole dei
contratti collettivi nazionali in vigore, in altri termini, continueranno ad
affiancarsi (e non a sostituirsi) alle ipotesi di legge, con la sola
differenza che al numerus clausus di cui all'articolo 1 della Legge 18 aprile
1962, n. 230 e successive modifiche e integrazioni si viene ora a sostituire
la clausola generale di cui all'articolo 1, comma 1, del D.Lgs. 9 ottobre
2001, n. 368. Lo stesso dicasi per le clausole di contingentamento disposte
dai contratti collettivi di cui all'articolo 23, Legge 56/1987, che, almeno
in linea di principio, stabiliscono tetti massimi alle assunzioni a tempo
determinato con esclusivo riferimento alle ipotesi tipizzate dalla autonomia
collettiva e non anche a quelle già legittimate dal legislatore.