Istituto Nazionale della Previdenza Sociale
Circolare numero 95 del 6-11-2008.htm
Indennità di mobilità. Maggiorazione di dodici mesi del periodo di erogazione della prestazione ai sensi dell’art. 7, comma 2, della legge n. 223 del 1991. Sentenza Cass. S.U. 30 maggio 2005 n.11326
Direzione centrale
Prestazioni a Sostegno del Reddito
Ai
Dirigenti
centrali e periferici
Ai
Direttori
delle Agenzie
Ai
Coordinatori
generali, centrali e
Roma, 6 Novembre 2008
periferici
dei Rami professionali
Al
Coordinatore
generale Medico legale e
Dirigenti
Medici
Circolare n.
95
e, per conoscenza,
Al
Commissario
Straordinario
Al
Presidente
e ai Componenti del Collegio dei Sindaci
Al
Magistrato
della Corte dei Conti delegato
all’esercizio
del controllo
Ai
Presidenti
dei Comitati amministratori
di
fondi, gestioni e casse
Al
Presidente
della Commissione centrale
per
l’accertamento e la riscossione
dei contributi agricoli unificati
Ai
Presidenti dei Comitati regionali
Ai
Presidenti dei Comitati provinciali
OGGETTO:
Indennità di mobilità. Maggiorazione di dodici mesi del
periodo di erogazione della prestazione ai sensi dell’art. 7, comma 2, della
legge n. 223 del 1991. Sentenza Cass. S.U. 30 maggio 2005 n.11326
SOMMARIO:
Premessa. L’orientamento delle Sezioni Unite. Nuovi criteri applicativi
1 – Premessa
Come è noto, l’articolo 7,
comma 2, della legge n. 223 del 1991 prevede che, nelle aree di cui al testo
unico delle leggi sugli interventi nel mezzogiorno approvato con D.P.R. 6
marzo 1978, n. 218, l’indennità di mobilità è corrisposta per un periodo
massimo di dodici mesi superiore di quella attribuita nella restante parte
del Paese.
Con
circolare
n. 3 del 2 gennaio 1992, l’Istituto aveva precisato che «per i lavoratori
licenziati da imprese operanti nelle aree del Mezzogiorno la durata della
prestazione è rispettivamente prolungata nelle tre ipotesi sopraindicate per
ulteriori dodici mesi».
La questione ha peraltro dato
luogo, nel tempo, al sorgere di due diversi orientamenti giurisprudenziali,
entrambi i quali erano stati fatti propri da diverse sentenze della Sezione
Lavoro della Corte di Cassazione.
Il primo orientamento – sostenuto
dalle sentenze 27 novembre 2002 n. 16798, 22 ottobre 2003 n. 15822 e 8 luglio
2004 n. 12630 – fonda il requisito territoriale sul luogo ove il lavoratore
ha svolto la propria attività e si è iscritto, una volta licenziato, nelle
liste di mobilità.
Il secondo orientamento (fatto
proprio dalla sentenza 9 febbraio 2004, n. 2409) riteneva invece che si
dovesse far riferimento al luogo ove ha sede l’impresa che riduce il
personale e nel quale è stata attivata la procedura di cui all’art. 4 della
legge n. 223 del 1991.
Le Sezioni Unite sono dunque
state chiamate a risolvere il contrasto giurisprudenziale.
2. L’orientamento delle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite, con sentenza
30 maggio 2005 n. 11326, hanno inteso risalire alle motivazioni ispiratrici del
testo dell’art. 7, comma 2, della legge n. 223 del 1991, ravvisabili
nell’esigenza di dare rilevanza alla difficoltà presunta del lavoratore nella
ricerca di una nuova occupazione, fornendo a coloro che si prevede affrontino
maggiori difficoltà, una tutela più generosa sul piano della durata della
prestazione. Tale presunzione si basa su due elementi: quello anagrafico –
sulla base del quale la durata è più elevata per i lavoratori di età più
avanzata – e quello territoriale.
Per quanto riguarda il requisito
territoriale, le Sezioni Unite si richiamano allo stretto collegamento che il
legislatore ha istituito tra la percezione dell’indennità e l’iscrizione
nelle relative liste, le quali hanno struttura territoriale regionale. Ne
risulta la « volontà del legislatore di dar luogo a una fattispecie
costitutiva del diritto alla prestazione previdenziale che si concretizza in
una vicenda di rilevanza giuridica "localizzata", allo scopo di
evitare, tendenzialmente, che i lavoratori collocati in mobilità siano costretti
a trasferirsi in ambiti diversi dal territorio in cui aveva avuto svolgimento
il cessato rapporto di lavoro per cercare altrove una opportunità di
ricollocazione ».
A parere della Suprema Corte
diventa quindi determinante « la circostanza che in una delle zone
"svantaggiate" di cui al suddetto provvedimento normativo l'impresa
abbia scelto di organizzare stabilmente la prestazione lavorativa di alcuni
(o, al limite, anche di uno solo) dei suoi dipendenti, in funzione del
raggiungimento dei propri obiettivi di produzione ».
Non rilevano, al contrario,
nell’identificazione del requisito territoriale, altri elementi « come il
luogo di assunzione, o quello in cui ha sede legale l'impresa o, quello di
residenza del lavoratore o quello, infine, in cui è stata aperta la procedura
di mobilità ».
3. Nuovi
criteri applicativi
Stante quanto sopra descritto,
può affermarsi che, nel riconoscere la maggiorazione di dodici mesi del
periodo di erogazione della prestazione, prevista dall’art. 7, comma 2, della
legge n. 223 del 1991, debba farsi
esclusivo riferimento al luogo ove l’impresa abbia deciso di organizzare
stabilmente il lavoro del soggetto interessato, anche in mancanza di un’unità
operativa stabilmente organizzata nell’area di cui al D.P.R. 6 marzo 1978 n. 218.
Le sedi, pertanto, valuteranno
le domande in corso applicando il criterio sopra delineato, e riprenderanno
in esame, allo scopo di valutare la corretta applicazione del suddetto
principio, le domande nei confronti delle quali penda un ricorso in sede
amministrativa o giurisdizionale.
Il
Direttore generale
Crecco